Se c’è un posto qui che ancora può apparire non del tutto saturo, anzi, che ancora lascia intravedere qualcosa della sana spettralità di cui talvolta le città tengono delle riserve in qualche angolo più o meno segreto del proprio corpo – docili paesaggi urbani di sfacelo, luoghi di preziosa inservibilità – si può tentare di scovarlo forse lungo la Senna, all’estremo sud-ovest della città. Lì dove sorge un ambiguamente frequentato parco pubblico, intitolato a André Citröen, l’alzaia si confonde in un groviglio di lavori stradali incompiuti, cancelli arrugginiti, strani cimiteri di materiale da navigazione fluviale, cavalcavia sotto i quali dimorano spacciatori in via di redenzione e poche, annoiate ragazze di strada.

NON È VERO DEGRADO. La droga si prenota con l’applicazione sul telefono e anche se le strade sono lerce e solcate da enormi ancorché sporadici, almeno di giorno, ratti di fogna, non è poi molto peggio di quanto si troverà più avanti: Parigi è da sempre, anche se i parigini amano dire che «le cose sono peggiorate», una città fetida. E se lo sfaccendato passeggiatore volesse cercare il punto di partenza ideale per un attraversamento della città da fare lungo il fiume, potrebbe trovare interessante questo scenario eccentrico rispetto a quanto seguirà lungo il suo cammino.

Da un punto di vista geografico si tratta di uno dei molti ingressi in città: il grande raccordo che la circonda e ne costituisce il perimetro, il Boulevard périphérique, è a pochi metri. Se poi qualcuno si chiedesse per quale ragione percorrere questo sentiero metropolitano – dodici chilometri in pianura, tutti calpestabili sull’alzaia fino all’altro capo della mappa, poco oltre la stazione ferroviaria di Bercy -, tra le molte possibili la risposta dovrebbe essere: per nessuna ragione.

È uno sport inventato proprio qui, a rigore l’unico che la Francia si può vantare di avere brevettato insieme alla pallacorda. Eppure, nel vasto programma olimpico che tra un mese promette di fare scintille, esso non figura. Si chiama: flânerie. Il suo indomito praticante, del tutto sordo allo spirito olimpico e refrattario all’idea di mettere al collo non dico una medaglia di metallo pregiato, ma anche solo una collanina di alluminio che ne appesantirebbe il placido incedere, è detto nel gergo tecnico-sportivo: il flâneur.

lavori di preparazione, lungo la Senna, per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi 2024 di Parigi
lavori di preparazione, lungo la Senna, per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi 2024 di Parigi

Ecco che forse una ragione ci sarebbe, per compiere questo attraversamento non cronometrato, fuori norma, senza ambizione: provare a se stessi che questa attività fondamentalmente parigina è ancora, nonostante tutto, lecita. Sì, perché tra pochi giorni per la città è tempo di «Dispositivo olimpico». Altro che «festa mobile» (ciao Hemingway): qui per entrare in alcuni quartieri, e per muoversi liberamente a piedi o con i mezzi (biglietti a quattro euro), sarà necessario disporre di una autorizzazione elettronica rilasciata dalla polizia (dire «dal Comune» sarebbe un puerile eufemismo), dopo aver fatto domanda scritta. Vale per tutti, anche per i residenti. È per la sicurezza di ciascuno, hanno spiegato il ministero dei Trasporti e quello degli Interni.

LA PASSEGGIATA intanto scorre, nel senso contrario a quello della Senna: da sinistra a destra. Si passa così all’imbocco dello storico quartiere Grenelle, dove si insediò una delle prime radio clandestine della Resistenza. Qui sorgeva il noto «Velodromo d’inverno», dove nel 1942 gli ebrei parigini furono ammassati per essere poi deportati nel più grande rastrellamento mai avvenuto in questo paese. Non fu organizzato dai nazisti. Ci pensò la polizia francese. Un episodio rimosso fino a pochi anni fa, quando l’attuale presidente della Repubblica ha chiesto scusa a nome della Francia. Si direbbe che già soltanto la parola, vélodrome, sia rimasta tabù per la città: il nuovo impianto, quello che ospiterà i giochi olimpici quest’anno, è stato costruito in un paesino a trenta chilometri da qui, poco oltre Versailles.

Sotto la torre Eiffel il passeggiatore non trova di che incuriosirsi, ha subito affrettato il passo quando ha visto quattro energumeni in divisa che si sono messi a correre urlando contro un ragazzo di quindici anni che vendeva paccottiglia di contrabbando, lo hanno circondato nonostante qualcuno avesse provato a avvertirlo dal ponte: «Les flics!» (gli sbirri). Il ragazzo non ha avuto il tempo di accorgersi di nulla, e non è riuscito a fuggire. Arrestato. Uno dei quattro poliziotti tiene la mano sul calcio della pistola, un altro strattona il ragazzo come se stesse per cimentarsi, con il suo corpo mingherlino, in un lancio di prova nella disciplina del getto del peso.

Questo avveniva proprio davanti al monumento che ricorda i caduti («morti per la Francia», dice l’iscrizione) nelle guerre in Algeria, Marocco e Tunisia. Se il ragazzo sia poi stato davvero scagliato nel fiume, il passeggiatore non ha potuto testimoniarlo. Fiume che dovrebbe del resto essere limpido e balneabile, almeno in qualche ansa: era la promessa olimpica della sindaca, che giurava di tuffarsi per prima, ma senza dichiarare prima alla giuria già perplessa, i suoi concittadini, il coefficiente di difficoltà. Finora comunque, nessun «carpiato ritornato»: la sindaca è trincerata nel suo ufficio, e la Senna si mostra nella sua più consueta veste: una melmaccia putrida (i nuotatori si sono già detti entusiasti di poter gareggiare nelle sue gloriose acque).

LA SENNA, secondo le battute che circolano all’altezza del Quai Voltaire – il passeggiatore avanza verso oriente – dovrebbe presto accogliere anche gli altri (oltre al fiero flâneur) resistenti dell’«autorizzazione a circolare»: i “barboni”. «Ci butteranno nel fiume il giorno prima della sfilata di inaugurazione», gorgoglia Jan, un clochard polacco che vive qui nella sua tenda da campeggio. Qualcuno ha invece detto di aver già ricevuto la richiesta di spostarsi altrove: una richiesta gentile, ha specificato.

Il passeggiatore può saltellare nel denso ruscello di urina che taglia il tunnel sotto il Pont du Carrousel. Il 26 luglio ci sarà mezzo milione di persone, tutte munite di «autorizzazione a circolare», ad assistere alla sfilata di battelli per l’inaugurazione. Centomila di essi pagheranno un biglietto. Pare che i posti migliori, sui ponti più grandi, siano stati rivenduti a dieci o ventimila euro. Illegittimamente, il flâneur si sente per un attimo come il commissario Maigret nel bellissimo Maigret e il barbone: l’unico cittadino «integrato» a porsi la domanda di come si veda Parigi da seduti per terra. Si siederebbe anche, accanto a Jan, che è già alla terza o quarta birra di giornata, ma il ruscello odoroso incalza, e il flâneur preferisce passare oltre.

È arrivato nei pressi dell’Arsenal, da dove, se il suo compito non fosse di proseguire dritto verso est, si potrebbe risalire verso nord, fino a Place de la Bastille. Sarebbe d’attualità, perché lì si tenne la grande, partecipatissima manifestazione del 14 luglio 1935, quando i parigini (qualcuno dice un milione, forse meno) si guardarono increduli tra loro, e capirono: capirono che alle votazioni dell’anno seguente la sinistra si sarebbe presentata unita. Erano i primi vagiti, in quel mattino del 1935, di quello che sarebbe stato il Front populaire. L’unità avrebbe significato la vittoria alle elezioni del 1936.

Il passeggiatore è già lontano. Vede il ponte ferroviario inghiottito da un palazzo sulla riva sinistra: è la Gare d’Austerlitz. Decide di interrompere qui l’attraversamento, o meglio di dichiararlo concluso. All’altezza di questa stazione piena di storia e di storie il passeggiatore si ferma a riposare. Tutto sommato, ha attraversato quasi tutta la città da un capo all’altro, e nessuno glie ne ha chiesto conto.