È il Brexit francese? Certo il voto delle legislative del 30 giugno e del 7 luglio non sarà un vero e proprio Frexit, cioè un’uscita dalla Ue e tanto meno dall’euro, ma come il voto britannico di otto anni fa, rischia di essere un segnale di chiusura su se stessi, di ripiego, di rigetto dell’altro da sé, che avrà forti conseguenze in Europa.

I sondaggi annunciano un’estrema destra complessivamente intorno al 35%, il Nuovo Fronte Popolare al 29% e il centro appena sotto il 20%. Le previsioni del risultato finale sono difficili, viste le modalità di voto – un maggioritario a due turni, diviso in 577 circoscrizioni, ognuna con delle particolarità specifiche – il tasso di partecipazione, che si annuncia in netta crescita rispetto alle precedenti elezioni, cambia alcune carte in tavola, con la possibilità di più di due candidati al secondo turno (per essere presenti, oltre ai primi due arrivati, bisogna aver ottenuto più del 12,5% degli iscritti). Ma si può già scommettere che per il campo di Macron non ci saranno belle sorprese: il centro, che aveva proposto il superamento degli schieramenti destra-sinistra, è schiacciato tra i due blocchi, come alla fine di un ciclo, estremamente breve. «Il presidente ha ucciso la sua maggioranza» accusa l’ex primo ministro Edouard Philippe, che già pensa all’Eliseo per il 2027.

L’ESTREMA DESTRA ormai domina su una destra di governo boccheggiante e ormai spaccata dallo strappo del presidente dei Républicains, Eric Ciotti, che ha abbracciato il Rassemblement National. Mentre la sinistra, che è riuscita a unirsi nel Nuovo Fronte Popolare, ha suscitato speranze e farà probabilmente un buon primo turno, ma avrà difficoltà al secondo, ad attirare un “fronte repubblicano” per sconfiggere il Rassemblement National. Lo storico Patrick Boucheron parla di «sentimento appiccicoso dell’inevitabile», come un torpore che poco per volta domina, scoraggia e deprime. Nella breve campagna elettorale sono stati i sentimenti – e le illusioni – a prevalere, non la ragione, diventata inudibile. L’eventualità dell’arrivo dell’estrema destra al potere in Francia sarà una bomba devastante per tutta Europa. Parigi debole, con due teste in conflitto, l’asse franco-tedesco insabbiato, freno alle iniziative per il futuro… La fine di un’epoca.

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EMMANUEL MACRON ha fatto lo stesso errore di David Cameron: con una decisione improvvisa, ha convocato in tutta fretta (e contro il parere delle più alte cariche dello stato) le legislative anticipate la sera stessa della sconfitta del suo campo alle europee del 9 giugno, ha puntato a squilibrare gli avversari, a prenderli di sorpresa e impreparati, puntando sulla paura ha scommesso su una reazione “conservatrice” dell’elettorato, a favore della continuità per timore di un salto nel buio. Ma il voto per il Rassemblement National ormai non è più solo un voto di rabbia, è un voto di consenso: l’82% dei francesi pensa che il paese sia in declino, più del 60% si sente in una situazione di insicurezza culturale, “non siamo più a casa nostra in Francia” viene ripetuto e l’accusa è rivolta all’immigrazione, giudicata troppo visibile, che imporrebbe modi di vita lontani da quelli locali. Lo specialista dell’estrema destra Nicolas Lebourg spiega che, di fronte a una società “de-istituzionalizzata”, dove le appartenenze – sindacali, di lavoro, di residenza, anche famigliari eccetera – si sono allentate, il Rassemblement National risponde promettendo protezione a una parte della popolazione, contro gli “altri”. Una protezione tutta da verificare, visto che il programma di governo è vago e pieno di rinunce sulla parte più “sociale” (per non parlare dell’assenza di progetti ambientali), ormai il candidato a primo ministro Jordan Bardella è sotto la guida dei magnati dei media della finanza cattolica, Vincent Bolloré con CNews, Europe1, Paris-Match e altro, con la new entry Pierre-Edouard Stérin – vicino al clan Le Pen – che sta per mettere le mani sul settimanale Marianne.

Emmanuel Macron - Ansa
Emmanuel Macron – Ansa

LA SINISTRA ha reagito all’azzardo dello scioglimento dell’Assemblée Nationale con straordinaria energia, si è unita con il nome evocatore Nuovo Fronte Popolare: Ps, Pcf, Verdi e France Insoumise hanno redatto un “programma di rottura” con la parentesi Macron, hanno suscitato una vera speranza. La campagna-lampo ha subito gli attacchi degli altri due blocchi sul programma economico keynesiano, evidentemente. Ma anche, con pesanti conseguenze, sulla questione dell’antisemitismo: riguarda solo qualche esponente della France Insoumise – la campagna delle europee è stata concentrata su Gaza – ma ha prestato il fianco alla descrizione di “due estremismi”. Nel programma del Nfp c’è un chiaro riferimento alla «storia tragica» francese e all’«esplosione inquietante» dell’antisemitismo oggi, ma il malessere perdura per delle prese di posizione all’interno della France Insoumise e del leader (contestato) Jean-Luc Mélenchon, apparse in contrasto con la storia della sinistra francese e le sue radici – quelle della difesa di Dreyfuss: il 16% degli elettori di Raphaël Glukcsmann (Ps) alle europee e il 13% dei Verdi si sono allontanati dal Nfp e dichiarano di votare per Ensemble, la coalizione di Macron. Un tragico fatto di cronaca, l’aggressione e lo stupro di una bambina di 12 anni perché ebrea a Courbevoie, il 15 giugno, ha precipitato la situazione.

L’ACCUSA di antisemitismo è stata utilizzata per mettere nello stesso sacco estrema destra e sinistra, e il risultato è che il Rassemblement National, dove il 51% degli elettori continua a pensare che gli ebrei francesi abbiano «una doppia fedeltà» (Francia e Israele), è riuscito a presentarsi come lo scudo contro l’antisemitismo, un vero rovesciamento per il partito che fino a poco tempo fa era il Front National, fondato da ex Waffen SS e dove il fondatore, Jean-Marie Le Pen, ha avuto sei condanne per antisemitismo.