Già quest’oggi a Berlino è previsto un vertice con i rappresentanti di Germania, Francia, Russia e Ucraina, i quattro paesi del cosiddetto formato Normandia, che due settimane fa hanno raggiunto un accordo sulla tregua militare nel Donbass e adesso tornano al lavoro per affermare uno dei due pilastri su cui il presidente francese, Emanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, vogliono costruire la loro iniziativa diplomatica.

IL PRIMO PILASTRO PREVEDE la completa applicazione degli accordi di Minsk firmati nel 2015, che dovrebbero permettere al Donbass di ottenere uno status speciale in seno all’Ucraina. Le resistenze, com’è noto, sono considerevoli a Kiev, in particolare negli ambienti ultranazionalisti, dai quali in più occasioni il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha ricevuto minacce e accuse di tradimento proprio per i progressi compiuti sul dossier. L’altro pilastro dell’iniziativa è il ritiro delle truppe, circa trentamila uomini secondo i dati a disposizione, che lo stato maggiore russo ha schierato nella vicina Bielorussia per una serie di esercitazioni. Sul punto è stato il Cremlino a raffreddare nuovamente le aspettative, ieri, dicendo che «non esiste alcun pre-accordo». Macron resta comunque convinto di avere «centrato il punto» con la sua doppia visita di lunedì e martedì a Mosca e Kiev. Scholz ripeterà lo stesso tragitto la settimana prossima. Questa crisi è una prova significativa per la politica estera tedesca verso la Russia. Il presidente americano, Joe Biden, ha lasciato intendere che punta a chiudere il gasdotto Nord Stream 2. Ma in Germania è allarme: nel paese le riserve di gas sono crollate ad un livello «preoccupante», secondo un portavoce del ministero tedesco dell’Economia e dl Clima. «Verifichiamo la situazione dei livelli di stoccaggio, e ora è sicuramente preoccupante», ha dichiarato, precisando che al momento si attestano al 35-36%, contro l’82% del 2020.

IL PRESIDENTE UCRAINO Zelensky ha ribadito di considerare «non probabile» una invasione. Da settimane il suo governo si è allontanato in modo netto dai rapporti dell’intelligence americana. In teoria gli Stati Uniti sono il migliore alleato di Zelensky sulla scena internazionale. Gli eventi gli hanno suggerito di seguire una linea più moderata. Anche perché a Kiev, ed è stato lui stesso a rimarcarlo, i pericoli legati all’instabilità del sistema politico sono maggiori rispetto a quelli di una guerra. Nonostante i progressi raggiunti sul piano diplomatico, l’Amministrazione Biden porta avanti il progetto di rimpatrio dei cittadini americani che sono ancora in Ucraina. Nel complesso dovrebbero essere circa 6.600.

LA PORTAVOCE DELLA Casa Bianca ha fatto sapere che non ci sarà alcuna evacuazione come quella vista a Kabul. Nessun marine metterebbe piede nel paese. Sarebbero i civili a raggiungere la vicina Polonia per ricevere l’assistenza dell’82esima divisione Airborne. A Washington il segretario di stato, Antony Blinken, comincia a fare i conti con le perplessità, comunque tardive, che la stampa non riesce più a trattenere. «Il nostro non è allarmismo», ha detto ieri di fronte ai giornalisti: «Questi sono semplicemente fatti. Dobbiamo trattare i fatti nel contesto della storia. Dobbiamo assicurarci di essere preparati. I fatti dicono che abbiamo visto negli ultimi mesi un ammassamento di forze russe ai confini dell’Ucraina». Fra i fatti elencati dal segretario di Stato manca quello principale: l’invasione non c’è stata ed è sempre meno probabile.

PERSINO IL New York Times sta rivedendo, a fatica, l’approccio usato finora per raccontare la crisi. «Putin segue i suoi tempi, e quei tempi potrebbero essere tempi lunghi», ha scritto ieri il corrispondente da Mosca sulle prospettive di un intervento militare. Nel pezzo si dice che Biden intende per invasione «carri armati e militari che attraversano il confine», ma i suoi collaboratori pensano che «i russi possano sfruttare altre opzioni». Sia come sia, dalle cronache di questa guerra che non esplode sta scomparendo il termine «imminente» che ha segnato per settimane ogni resoconto sulla possibilità di una guerra in Europa e che sta ancora guidando una poderosa corsa al riarmo dell’Ucraina: soltanto negli ultimi due mesi a Kiev sono arrivati una tonnellata e mezzo di aiuti militari.