I crimini di guerra individuati in Ucraina dalla Corte penale internazionale dopo mesi di indagini sono odiosi: deportazione di minori e trasferimento illegale di popolazione dalle zone che i russi hanno preso a partire dallo scorso anno.

SULLA BASE DI QUELLI, il Tribunale dell’Aja ha emesso mandati di arresto per il capo del Cremlino, Vladimir Putin, e per Maria Lvova-Belova, che guida la Commissione per i diritti dei bambini, una delle figure più controverse dell’Amministrazione russa. Trentotto anni, moglie di un religioso, ultraortodossa, madre di ventitré figli, cinque biologici e diciotto adottivi. L’ultimo, è stata lei stessa a raccontarlo durante un incontro con Putin trasmesso alla tv di stato, è un adolescente di Mariupol, la città nel sud dell’Ucraina sotto il controllo dell’esercito russo. «È un’impresa faticosa, ma non si può dire che manchi l’amore e questa è la cosa più importante», ha detto allora la donna.

Insomma: la terribile condotta che i giudici dell’Aja intendono punire non è un mistero per alcuno, anzi, a Mosca considerano i trasferimenti, ma sarebbe più opportuno parlare di rapimenti, organizzati da associazioni, congregazioni ed enti del governo come un atto di carità, dietro al quale, è chiaro a tutti, procede il progetto di russificare le province occupate.

DA KIEV IL PRESIDENTE ucraino, Volodymyr Zelensky, ha parlato di «decisione storica». Il suo entourage crede di essere di fronte all’inizio di un processo giuridico e politico che condurrà alla fine di Putin, più o meno com’era accaduto in Libia con Muhammar Gheddafi. Anche in quel caso il mandato della Corte aveva preceduto il crollo del regime.

«Le ruote della giustizia stanno girando», ha detto il ministro degli Esteri, Dmitro Kuleba. «Il mondo è cambiato: questo è un chiaro segnale per le élite russe», ha ribadito il braccio destro di Zelensky, Mikhailo Podolyak. L’atto è in forza nei 123 paesi che riconoscono il Tribunale dell’Aja. L’Italia è fra questi.

DELL’ELENCO non fanno parte, però, né l’Ucraina, né tantomeno la Russia. «Non abbiamo mai ratificato l’atto istitutivo della Corte penale internazionale, quindi i loro documenti non hanno valore giuridico in Russia», ha spiegato in serata la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova.

Decisamente più esplicito è stato l’ex presidente ed ex premier Dmitri Medvedev. Per anni in occidente è stato definito “moderato”. Ieri pomeriggio ha paragonato il testo a «carta igienica». È difficile spiegare questa metamorfosi denunciando solamente gli errori di valutazione, seppure evidenti, commessi in Europa e negli Stati uniti.

IL MANDATO DI ARRESTO nei confronti di Putin segnerà probabilmente la definitiva rottura dei rapporti, anche sul piano formale, fra il sistema giuridico russo e le grandi istituzioni sovranazionali. Questa iniziativa il Cremlino l’aveva già intrapresa prima che la guerra cominciasse. Nel 2020 il paese è stato chiamato a votare la riforma della Costituzione attraverso un referendum. Allora i media hanno concentrato l’attenzione sulla norma che ha garantito a Putin di portare dal 2024 al 2036 le sue prospettive presidenziali. Un altro articolo, forse ancora più importante, ha stabilito la supremazia del diritto russo su qualsiasi altra forma di legge.

Il passaggio accade alla vigilia di un vertice destinato ad avere enorme valore non solo simbolico, ma anche materiale, quello fra Putin e il leader cinese, Xi Jinping, che sarà a Mosca da lunedì a mercoledì prossimi.

L’INTERA AMMINISTRAZIONE è mobilitata da mesi su accordi che riguardano due settori in particolare, quello energetico e quello bellico.

Federazione russa e Cina sono sempre più legate sul piano economico. Il timore della comunità internazionale è che la guerra in Ucraina produca lo stesso effetto anche in campo militare.
«Apprezziamo molto la posizione moderata che Pechino ha assunto sino a questo punto sul tema», ha detto Yuri Ushakov, uno dei consiglieri diplomatici di Putin. Messaggi dei due leader saranno pubblicati lunedì da Rossiskaya Gazeta in Russia e dal Quotidiano del Popolo in Cina.

IN POCHI MESI la Russia sembra avere risolto un equivoco che durava da secoli, quello sulla sua identità, da sempre divisa tra oriente e occidente. Oggi pare prevalere il primo. La responsabilità della svolta è di Vladimir Putin. Sulle ragioni saranno gli storici a esprimersi.