«Quest’anno è dura, più che in passato. Le aggressioni dei coloni israeliani ai nostri contadini durante la raccolta annuale delle olive si stanno moltiplicando. Con la nostra resistenza passiva proviamo a proteggere le famiglie che vanno nei campi ma non sempre ci riusciamo». Mahmud Zawahre è teso, riceve tre telefonate di allarme mentre risponde alle nostre domande. È uno dei leader dei comitati popolari palestinesi e in questi giorni assieme a decine di attivisti gira per la Cisgiordania sperando di prevenire gli attacchi agli agricoltori. «I coloni vogliono impedire la raccolta delle olive nelle aree che considerano vicine ai loro insediamenti – spiega al manifesto – ma quei terreni sono agricoli, appartengono a famiglie che vivono della raccolta delle olive e della frutta». L’aggressione subita da una famiglia palestinese due giorni fa a Yasuf è stata talmente grave che è intervenuto, caso raro, il ministro della difesa israeliano Benny Gantz per condannarla. Ieri è stata la volta di Burin, con uliveti e frutteti dati alle fiamme.

Da alcune settimane si parla diffusamente, anche in qualche media israeliano, della violenza dei coloni, già protagonisti giorni fa di un attacco in massa, con lanci di pietre e bottiglie, al villaggio palestinese di Mufaghara, a sud di Hebron dove hanno ferito 12 persone tra cui un bambino di tre anni. Eppure, la colonizzazione non ha sosta. E non riguarda solo la Cisgiordania. Una commissione israeliana per la pianificazione edilizia ha appena dato il via libera al primo insediamento coloniale ebraico in 30 anni a Gerusalemme est, il settore arabo occupato della città. Su terreni espropriati saranno costruiti 1.257 alloggi che formeranno, di fatto, una nuova colonia accanto a quella di Givat Hamatos. Una volta completate, queste nuove costruzioni taglieranno a metà la Cisgiordania e renderanno impossibile la nascita di uno Stato palestinese con un territorio omogeneo.

Israele pianifica l’espansione di altri insediamenti a Gerusalemme Est, a cominciare dalla costruzione di 470 alloggi a Pisgat Zeev, 200 a Ramat Shlomo e 540 a Har Homa. Un altro progetto, noto come E1, prevede l’edificazione di centinaia di alloggi per collegare gli insediamenti di Kfar Adumim e Maale Adumim con Gerusalemme Est e l’espansione di Atarot vicino alla statale 443 chiamata dai palestinesi la «Strada dell’Apartheid» perché passa accanto a sobborghi di Gerusalemme Est recintati dall’esercito israeliano. Sotto la pressione dell’ex presidente Usa Barack Obama, Israele aveva congelato la costruzione di alloggi a Ramat Shlomo nel 2010 e a Givat Hamatos nel 2014. L’Amministrazione Biden invece critica a voce bassa la colonizzazione. L’approvazione per le case a Givat Hamatos è arrivata mentre il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid era in visita a Washington DC. Secondo il quotidiano Haaretz, Lapid «ha ascoltato in privato solo alcune deboli obiezioni» da parte dei funzionari statunitensi.

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