Horst Koehler, inviato speciale dell’Onu per il Sahara, ha invitato i rappresentanti della diplomazia marocchina, algerina, mauritana e della Rasd (Repubblica araba democratica Saharawi) a Berlino la prossima settimana per l’avvio di nuovi colloqui di pace tra Marocco e Fronte Polisario. L’annuncio di queste consultazioni coincide con un progressivo aumento della tensione nella regione durante tutto il mese di gennaio.

Lo stesso segretario generale Antonio Guterres ha dichiarato di «essere preoccupato per la crescita di ostilità» e ha invitato le due parti a «evitare una pericolosa escalation della tensione con conseguenze irreversibili». Da parte sua, Koehler, ex presidente tedesco, dopo una prima visita “sul campo” a ottobre 2017, ha deciso di convocare le parti in causa in Germania. L’intenzione è quella di avviare colloqui diretti tra Rasd e Marocco – gli ultimi nel 1997 – garantendo in Germania maggiore neutralità in confronto a New York, dove paesi come Usa e Francia sono dichiaratamente a favore di Rabat, al contrario di Berlino da sempre imparziale nella questione saharawi.

L’avvio dei colloqui punta a una ripresa dell’attività diplomatica con una situazione di stallo che si trascina ormai da oltre 40 anni (1975) e dal successivo armistizio del 1991 tra Fronte Polisario (rappresentanza politica saharawi) e governo marocchino, con l’invio della missione di pace Minurso che, se non prorogata, dovrebbe concludersi ad aprile.

Le nuove tensioni tra Marocco e Rasd sono cominciate i primi di gennaio quando il Polisario ha rioccupato alcune postazioni nella zona di Guerguerat, nel sud ovest del Sahara Occidentale, per protestare contro l’utilizzo di una strada da parte del Marocco, in violazione dell’accordo per il cessate il fuoco, e per contestare l’immobilismo dell’Onu.

Segnali che fanno comprendere quanto all’interno dello stesso Fronte Polisario ci siano divisioni e spinte per un intervento armato a causa dello stallo diplomatico e della continua diminuzione di fondi per mantenere adeguati livelli di sostentamento, per sanità e viveri, tra gli oltre 200mila profughi nel deserto algerino a Tindouf. «L’esercito saharawi è pronto a combattere – ha dichiarato Abdullahi Lehbib, ministro della difesa del Fronte Polisario in una lettera alla comunità internazionale – per il diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione, visto che viviamo sotto occupazione (marocchina) o come rifugiati da oltre 42 anni».

Neanche le recenti vittorie diplomatiche sembrano comunque stemperare gli animi. Il 10 gennaio, infatti, la Corte di giustizia dell’Ue (Cjue) ha stabilito che l’accordo di pesca tra Unione europea e Marocco non è più valido perché «non rispetta il diritto del popolo saharawi e favorisce solamente l’economia marocchina e non quella della popolazione di quel territorio». Anche il recente vertice di Addis Abeba dell’Unione africana ha imposto a Rabat, per quanto riguarda la questione del Sahara, l’invio di una delegazione di pace a Laayoune e l’istituzione di una missione di sorveglianza dei diritti civili e umani nei territori del Sahara Occidentale.

I nuovi colloqui si preannunciano già in salita visto che, al momento, il ministro degli esteri marocchino Nasser Bourita non ha confermato la sua partecipazione, forse puntando al mantenimento dello status quo, mentre Brahim Ghali, presidente della Rasd, ha confermato che ci sarà come ultima chance «per una soluzione pacifica del conflitto». Il Fronte Polisario reclama un referendum di autodeterminazione che porti all’indipendenza del Sahara Occidentale, al contrario il Marocco rifiuta qualsiasi soluzione o separazione che non sia la concessione di autonomia sotto la sovranità di Rabat.