Ieri, nel giorno del primo anniversario del colpo di Stato in Myanmar con il quale i militari hanno preso il potere spazzando via la democrazia, Stati uniti, Canada e Regno unito hanno annunciato nuove sanzioni coordinate contro alti funzionari, dirigenti d’azienda e società birmane che fornirebbero sostegno finanziario al sanguinario regime. Nell’elenco ci sono, tra gli altri, un procuratore generale, il giudice capo della Corte suprema, il presidente della Commissione anticorruzione, un ex militare nominato dopo il golpe presidente della commissione elettorale, l’amministratore delegato di un’azienda che gestisce un hub commerciale e un importante porto nell’ex capitale Yangon, il proprietario di varie società che fornirebbero all’esercito birmano attrezzature e servizi (armi comprese) e due dei suoi figli. Una volta dentro la black list vengono congelati gli eventuali beni posseduti da questi soggetti nelle nazioni che hanno emesso le sanzioni, cui si somma il divieto per le imprese di quei Paesi di avere rapporti con loro.

Le sanzioni di Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea, Canada, Nuova Zelanda, Australia, India, Giappone e Corea del Sud imposte dal 1° febbraio 2021 (Fonte: Justice for Myanmar)

GRANDE ASSENTE, da questa nuova sfornata di sanzioni delle democrazie occidentali, l’Unione europea: «Ritengo assolutamente fuori luogo l’ultima parte della dichiarazione resa da Josep Borrell», denuncia al Manifesto Cecilia Brighi, segretaria generale dell’associazione Italia-Birmania Insieme. Lunedì sera, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue aveva affermato che «in assenza di alcun progresso sostanziale nella situazione in Birmania, l’Unione europea è pronta ad adottare ulteriori misure restrittive». A Borrell, Brighi vorrebbe quindi chiedere: «Cosa altro deve succedere in Myanmar per far muovere rapidamente l’Ue? Le ultime loro sanzioni risalgono a giugno e in questi 8 mesi è successo di tutto: villaggi dati alle fiamme, gente assassinata o incarcerata, bombardamenti sui civili».

NEL FRATTEMPO Justice for Myanmar ha messo a confronto le sanzioni imposte in quest’anno di militari al potere da Canada, Unione europea, Nuova Zelanda, Regno unito e Stati uniti, ritenendole lacunose. Questo, in sintesi, il responso dell’organizzazione birmana per i diritti umani: «I dati raccolti mostrano l’approccio incoerente dei principali governi internazionali che devono urgentemente fare molto di più». Qualche esempio emblematico? «Nonostante le prove che il petrolio e il gas finanziano la giunta militare, le sanzioni non hanno ancora colpito la Myanmar oil and gas enterprise (Moge), l’impresa statale sotto controllo militare che genera gli introiti più significativi per la giunta».

«A quanto è dato sapere – aggiunge Brighi – neppure le prossime sanzioni Ue che verranno approvate il 21 febbraio colpiranno il Moge e sicuramente nemmeno le banche in mano all’esercito». Per Justice for Myanmar, un’altra grande assente è la «Telecom International Myanmar, che con Mytel fornisce una redditizia fonte di entrate e supporta la capacità di comunicazione dell’esercito». In più, continua l’organizzazione birmana per i diritti umani, «nessuna sanzione è stata imposta a individui e aziende che ai militari birmani forniscono armamenti e beni a duplice uso».

Estensione delle sanzioni imposte da Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea, Canada, Nuova Zelanda, Australia, India, Giappone e Corea del Sud a individui e società (Fonte: Justice for Myanmar)

C’è poi la Nuova Zelanda: «Nessuna sanzione mirata, ma solo la formale sospensione dei contatti con l’esercito del Myanmar e divieto di ingresso imposto a cinque alti funzionari della giunta», spiega Yadanar Maung, portavoce di Justice for Myanmar. «Vergognosamente – aggiunge – Australia, India, Giappone e Corea del Sud non hanno imposto alcuna sanzione mirata in risposta al colpo di stato dell’esercito birmano. Nonostante le aziende di quei Paesi e in alcuni casi gli stessi governi abbiano affari in corso con la giunta». Vale infine la pena evidenziare come, anche laddove tali sanzioni siano state imposte, come raccontato nel corso dell’anno a più riprese da questo giornale, i controlli spesso non funzionino o queste possano essere facilmente aggirate attraverso triangolazioni con nazioni terze, rendendole così di fatto vane.