Tra le infinite suggestioni della recente edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina, è emersa una nuova sezione che vede, per la prima volta, un gemellaggio, in collaborazione con l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano, con il Pingyao Crouching Tiger Hidden Dragon International Film Festival fondato da Marco Müller e Jia Zhangke.

Per l’occasione, due registi cinesi, Liu Jie e Cici Li, hanno accompagnato i loro film regalando la possibilità di un dialogo, non solo sulle loro opere ma anche sullo stato attuale della produzione cinematografica cinese, a partire proprio da Liu Jie, scoperto proprio da Müller nel 2006 quando presentò nella sezione Orizzonti di Venezia il suo esordio Tribunale a dorso di cavallo, vincitore del primo premio.

Attraversando con apparente semplicità i generi, Liu Jie ha presentato il suo ultimo lavoro, Baby, storia sull’abbandono dei bambini disabili in Cina, che arriva dopo il thriller di successo Hide and Seek che cercava di dare corpo ai «mostri» generati dal recente sviluppo economico cinese, denunciando la desolazione dei quartieri periferici e l’espansione di una borghesia sempre più insensibile «È chiaro che il tema di Hide And Seek era focalizzato sulle differenze di casta sociale e quindi, in qualche modo, sulla separazione sempre più grande che c’è fra chi sta bene e chi ancora vive da povero.

Baby invece vuole raccontare i condannati a stare ai margini della società, in questo caso i bambini che hanno degli handicap. Secondo me, non solo da noi, ma anche in molte delle società fuori dalla Cina, il modo di trattare questi bambini è o rinchiuderli o considerarli come una sorta di spazzatura umana. Ho fatto questo film perché volevo lanciare una sfida etica a quelle classi medie che fanno finta di non vedere.

Anche Hide And Seek raccontava che le classi medie, una volta che chiudono la porta, fingono che il mondo esterno non esista più e anche se la famiglia della neonata di Baby fa parte di uno strato più basso della classe media, l’atteggiamento è lo stesso».

Per il regista cinese, l’aver sperimentato più generi cinematografici non solo ha contributo a una maggiore sicurezza economica ma gli ha anche permesso di irrobustire il suo linguaggio «Il genere mi è servito molto per questioni di metodo cinematografico perché, con i miei primi due film, ho incontrato parecchi problemi di censura del mercato e politica, soprattutto con Judge nel 2009, quindi la necessità era non soltanto di catturare nuovi gruppi di spettatori ma soprattuto di riuscire a esprimere tutto quello che volevo, riuscendo a trovare i finanziamenti. Non c’è stata una censura centrale diretta o una censura del mercato. Per me è prestigioso che Hou Hsiao-hsien abbia partecipato alla realizzazione come produttore ma non è questo che ha sbloccato le cose bensì il fatto che la censura è stata federalizzata. Ormai non c’è più unicamente la censura centrale ma anche quella regionale e per il mio film, per ovvi motivi, dovevo contattare anche il dipartimento di polizia, il ministero della Salute per poter girare negli ospedali e se avessi provato a fare questo film a Pechino mi avrebbero probabilmente detto di no, più lontano dal centro invece, vicino a Nanchino, non ci sono stati problemi»

ORIZZONTI LONTANI

Cici Li invece è una giovane regista, la prima regista donna ad emergere nella regione dello Shanxi, dove si trova anche Pingyao, personalità multiforme che in pochi anni di carriera ha già un poderoso curriculum come scrittrice, autrice, attrice e produttrice. Il suo esordio alla regia, Don’t Walk Away, è incentrato sulla figura di una giovane artista alla ricerca del successo nel mondo della pittura, anche se la sua vita è resa difficile da insicurezze, scelte ardue da affrontare, traumi da superaree la molteplicità di espressioni artistiche di Cici Li sembra aver trovato nel cinema il suo luogo prediletto «Ogni mio film è adattato da un mio romanzo. Amo l’immediatezza del cinema e mi sono resa conto forse è proprio questo che più si adatta al mio bisogno di comunicare. La cosa paradossale è che fino all’età di 8 anni non avevo mai visto al cinema. Il primo film visto in sala è stato Non uno di meno di Zhang Yimou e mi fece un effetto incredibile. Mi sono riconosciuta in quei ragazzi e il bisogno di un transfert, che può occasionare il cinema, nasce proprio da quella prima esperienza e sono felice che dopo la visione di Don’t Walk Away, alcune donne si siano avvicinate a me per dirmi che si erano sentite rappresentate come donne dello Shanxi».

GODARD

Cici Li ha dichiarato che gran parte dell’ispirazione per questo film è derivata dalla visione di due film di Jean-Luc Godard, Prénom Carmen e Due o tre cose che so di lei, ed è soprattutto quest’ultimo che, in filigrana, emerge fra le inquadrature e fra le ellissi del montaggio «Volevo raccontare una storia al femminile ma la cosa che mi aveva letteralmente impressionata è come Godard fosse riuscito a frammentare il racconto, a dargli una circolarità. Volevo sperimentare per la prima volta quel tipo di libertà anche se sono partita con l’idea di fare un melodramma popolare. Godard l’avevo visto, e non capito, quando avevo 18 anni e mi era rimasto dentro. A un certo punto, riflettendo sulle modalità della narrazione, dopo la prima mondiale del film a Pingyao, mi sono detta: «Perché non ho scelto una forma più libera?» Lì ho capito che qualcosa, di quella visione giovanile, era rimasta dentro di me, quel desiderio di scomporre la temporalità e annullare le convenzioni. Volevo provarci insomma e così ho rimontato il film pur nella consapevolezza di essere meno obiettiva di un maestro come Liu Je. Sapevo infatti di non poter raccontare, almeno per il momento, quel pezzo di Cina che mi corrisponde e così ho fatto in modo che il film diventasse ancora di più in prima persona. Anche Prénom Carmen è stata un modello d’ispirazione per come, anche attraverso la fisicità, Godard rappresenti un mondo interiore».