Vittoria schiacciante del “no” all’indipendenza in Nuova Caledonia, ma un record di astensioni (56,1%). Il terzo referendum sull’indipendenza ha confermato, ampliandone la percentuale, il risultato dei due precedenti. Ma i partiti indipendentisti, rappresentanti della popolazione locale, avevano preso posizione per l’astensione, una prova di forza di resistenza passiva.

«La Francia è più bella – ha commentato Emmanuel Macron – perché la Nuova Caledonia ha deciso di restare». Il voto di domenica chiude il ciclo degli Accordi di Matignon (1988) e di Nouméa (1998). Adesso si apre un periodo di incertezza, dovrà essere trovata una nuova intesa con Parigi: sono previsti 18 mesi di transizione per trovare un nuovo statuto all’arcipelago, mentre resta garantito il diritto costituzionale all’autodeterminazione.

«Nessuno può contestare i risultati», ha detto Sonia Backès, presidente della provincia del Sud, dove sono concentri gli europei, sottolineando che gli accordi di Nouméa non prevedono un quorum di partecipazione per i referendum. Per Beckès, il “no” ha sconfitto «i sogni tristi di un’indipendenza al prezzo della rovina, dell’esclusione, della miseria». I problemi restano.

La società è divisa geograficamente, socialmente, tra le diverse identità. Roch Wamytan, uno dei leader indipendentisti, ha commentato: «È il referendum dello stato francese e dei suoi sostenitori, non il nostro».

Ma il presidente del governo locale, l’indipendentista Louis Mapou, cerca la mediazione, prendendo tempo. «Aspettiamo la presidenziale francese», afferma. Ma nel frattempo il governo deve far fronte a un deficit di bilancio di 500 milioni di euro, mentre Parigi veglia per evitare l’irruzione del capitale cinese nelle miniere di nickel, la ricchezza locale.