Per sua natura, l’essere umano ha sempre definito se stesso attraverso un moto continuo, cercando di districarsi delle sovrastrutture della società grazie a un viaggio che va oltre lo spazio e il tempo e che si fa espressione del divenire dell’essere. È questo il tema che unisce i film presentati dalla 17/a edizione de «La Nueva Ola – Festival del cinema spagnolo e latinoamericano» che dal 15 al 19 maggio ha portato nelle sale del Barberini di Roma numerose anteprime del cinema spagnolo e d’oltreoceano. Il festival, diretto da Iris Martin-Peralta e Federico Sartori, è divenuto negli anni un punto di riferimento in Italia per il cinema iberoamericano presentando, nelle due sezioni «Nueva ola del cine español» e la «Nueva ola latinoamericana», le migliori opere d’autore come lo straordinario Samsara di Lois Patiño (premio della giuria in Encounters alla Berlinale 2023), in sala il 23 maggio, che affronta il tema della reincarnazione secondo il Bardo Tödröl Chenmo, il libro tibetano dei morti. Il regista spagnolo, dopo aver esplorato il rapporto tra l’uomo e la natura sulle coste della sua Galizia in Lúa Vermella e Costa da Morte, s’immerge in un lungo viaggio tra Laos e Tanzania, tra vita e morte, tra tradizioni arcaiche e modernità.

Il film girato in 16 millimetri si apre nelle placide acque di Laos, dove i giovani monaci buddisti dialogando tra loro progettano il loro futuro: chi vuole intraprendere gli studi di informatica chi essere un rapper affermato; tra i sogni legati al futuro un giovane traghettatore si reca ogni giorno presso un’anziana signora per leggere il libro dei morti e prepararla a intraprendere il viaggio verso la reincarnazione. Il regista, aiutato dagli effetti cromatici tipici della pellicola in 16 millimetri, mette in scena il Bardo alternando lo schermo nero a lampi di luce colorata come un viaggio psichedelico che trasporta lo spettatore nella seconda parte del film, in Tanzania. Qui Patiño esplora un villaggio di pescatori attraverso gli occhi di una bambina e della sua capretta che affrontano il tema del divenire e della morte attraverso il dialogo con la madre, la nonna e un uomo di origini Masai. Per il regista, il tema della morte secondo il credo tibetano non è assoluto, ma è accostato alla dottrina islamica che vede i suoi morti lavati e sepolti, mentre per le antiche tradizioni Masai, i cadaveri venivano condotti e lasciati nella foresta così che le belve potevano nutrirsi dei corpi.

Un altro viaggio in 16 millimetri è On the Go della regista María Gisèle Royo e dell’artista Julia de Castro che mettono in scena un road-movie erotico e surreale, all’insegna dell’irrazionale e della libertà. Protagonista di questa folle avventura è Milagros che, determinata a diventare madre a tutti i costi, decide di partire a bordo di una Chevrolet Corvair ’67 con il suo amico Jonathan, alla ricerca del donatore di sperma perfetto. Attraversando un’Andalusia che somiglia al far west grazie ai colori caldi del 16 millimetri, Milagros incontra personaggi pittoreschi come la misteriosa Reina de Triana che la spinge a riflettere su quello che desidera e ricorda allo spettatore che bisogna osare e sperimentare per riuscire a trovare il proprio destino. Il film è stato presentato in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia insieme a Te estoy amando locamente, opera prima di Alejandro Marín che racconta la nascita del movimento di liberazione omosessuale andaluso nato paradossalmente all’interno della Chiesa cattolica. Il film è ambientato nella Siviglia del 1977 quando, a pochi anni di distanza dalla fine della dittatura franchista, l’omosessualità è considerata ancora un crimine.

Attraverso la storia di Miguel e di sua madre Reme, donna fortemente tradizionalista che sarà coinvolta in prima persona nel nascente movimento di liberazione omosessuale per amore del figlio, il regista rispecchia il processo di transizione che stava avvenendo in Spagna non solo da un punto di vista politico, ma soprattutto sociale cercando grazie ai toni brillanti della commedia di esorcizzare un passato di violenze e tabù.

La regista costaricana Antonella Sudasassi affronta un viaggio nella memoria e nel desiderio di emancipazione di tre donne nel film Memorias de un cuerpo que arde (Premio del Pubblico nella sezione Panorama dell’ultima Berlinale): Ana, Patricia e Mayela, sono cresciute in Costa Rica in un’epoca repressiva e fortemente machista che condiziona e reprime la vita delle donne anche negli aspetti più intimi; ora finalmente libere nella loro terza età possono raccontare la loro storia, la storia di ognuna che è la storia di tutte. La regista con delicatezza incrocia i linguaggi del documentario con il linguaggio della fiction incarnando nello spazio scenico e nel corpo di un’unica attrice, le voci delle tre donne anziane che guidano lo spettatore all’interno dei loro ricordi di bambine, donne e madri.

In concorso anche il capolavoro postumo di Óscar Catacora, Yana-Wara, un thriller intriso di realismo magico che racconta la storia di Evaristo, un ottantenne accusato della morte della nipote Yana-Wara: durante l’udienza la comunità scopre la tragica vicenda della bambina che, dopo essere stata violentata, inizia ad avere visioni terrificanti degli spiriti maligni che popolano i luoghi proibiti delle Ande. Il regista peruviano dopo Wiñaypacha, continua il suo percorso nelle tradizioni millenarie delle comunità andine degli Aymara, un viaggio nelle zone più remote di Puno, dove il paesaggio assume un aspetto selvaggio e desolato, quasi ascetico grazie alla fotografia in bianco e nero e soprattutto attraverso le composizioni dell’inquadratura sia nei piani stretti che isolano i protagonisti imprigionandoli nella loro condizione di povertà, sia nei campi aperti enfatizzando il senso di pericolo e vulnerabilità.