La transizione energetica deve seguire un «approccio non ideologico». Ma se per ideologia si intende la pretesa di possedere una esclusiva visione completa e totale del mondo, di ritenersi il depositario unico di verità, occorre chiarire i parametri che individuano cosa è e cosa non è ideologico. Che nel caso dell’energia sono parametri di economicità, di affidabilità, di sviluppo industriale. Il discrimine reale è quello che separa le tecnologie mature e commercialmente disponibili dalle tecnologie in via di sviluppo.

IN QUESTA NUOVA STAGIONE in cui viene riproposto il nucleare, occorre allontanare il sospetto che sia essa stessa una tecnologia ideologica, magari rispondendo con attenzione e con dati certi a domande ben precise, cominciando dai tempi di realizzazione al momento imprevedibili, dai costi del chilowattora ancora molto alti, dal problema dell’approvvigionamento dell’uranio arricchito, attualmente dominato dalla Russia, e dalla proprietà del know-how, oggi in mano alla Cina. Sì, perché un tema dell’energia oggi è anche quello della indipendenza e della sicurezza.

NON SI HA AL MOMENTO nessuna certezza sullo sviluppo industriale dei Small Modular Reactors (SMR), una tecnologia di piccola capacità (pur sempre 300 MW, taglia più grande del reattore di Borgo Sabotino a Latina) ancora lontana dalla fase industriale su larga scala, che impedisce di quantificare tempistiche e costi, nonostante sia una proposta avanzata negli anni ’90 del secolo scorso: secondo i dati dell’International Energy Agency IEA, ad oggi nel mondo esistono soltanto tre unità in esercizio e tre in costruzione.

SI RICORDI, FATTO NON IDEOLOGICO, che le economie di scala permettono un abbattimento dei costi e che sono le produzioni industriali ad assicurare tempi definiti di realizzazione e certezza dei costi, come insegna il fallimento dell’ultima realizzazione nucleare in Europa, quella di Flamville in Normandia. Una centrale che doveva entrare in servizio nel 2012, ma non è ancora allacciata alla linea, caratterizzata da costi che da 3 miliardi di euro nel 2004, sono arrivati a 13,2 miliardi oggi. Per quanto riguarda i costi del chilowattora è la IEA che stima al 2050 ancora un costo dell’energia nucleare in Europa di 110 dollari al chilowattora contro i 90 delle rinnovabili, questi ultimi però comprensivi dei sistemi di accumulo di lunga durata che, come è noto, ben prima del 2050 renderanno la produzione eolica e fotovoltaica di fatto programmabile (sennò sarebbero 35!).

LO SCENARIO DELL’ELETTRICITÀ necessaria al 2050 prevede una domanda che in Italia crescerà a circa 700 TWh, il doppio di quella attuale. L’affermazione poco attenta del ministro Pichetto Fratin di voler introdurre nella revisione del Pniec (Piano nazionale energia e clima) una quota di nucleare pari addirittura il 20% della domanda complessiva, cioè 140 TWh, per la quale servono almeno 18 GW di potenza installata, significherebbe introdurre sul nostro territorio una cinquantina di reattori SMR da 300 MW. Detto per inciso, la IEA stabilisce al 2050 per la UE una quota nucleare pari a 100 TWh in tutto! L’approccio rimarrà purtroppo ideologico se oltre a queste domande non si risponde concretamente anche ad una altra questione, altrettanto importante: dove collocare queste centrali nucleari, visto che da oltre dieci anni non si è ancora riusciti ad individuare il sito per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e che il recentissimo decreto sulle aree idonee rende off-limits l’installazione delle stesse rinnovabili? La eventuale classificazione come impianti strategici è improponibile, così come le autorizzazioni troppo semplificate, visto che nel caso del nucleare dovrebbero contemplare il favore dei territori, alla luce dei due referendum svolti nel 1989 e 2013.

C’È ANCHE DA CONSIDERARE dove sta andando il futuro dell’energia. La politica industriale e gli investimenti oggi vanno in una direzione bene definita: la IEA nel suo World Energy Outlook 2023 afferma che le rinnovabili passeranno dagli attuali 8600 a 55100 TWh/anno nel 2050 con una copertura dell’82% della elettricità, quasi sette volte di più, mentre il nucleare aumenterà da 2600 a 5300 TWh/anno (due volte) per rimanere sempre alla stessa quota del 8-9%.

CI SARANNO CENTRALI NUCLEARI certo, ma tutte concentrate in Cina e negli Stati Uniti, e sono dati IEA confermati recentemente dalla Nuclear Energy Agency NEA. Infine, non può mancare per definire ideologico un approccio, la valutazione degli assetti geopolitici, visto che nel documento conclusivo della riunione di Venaria del G7 Energia e Clima, dello scorso aprile, veniva rimarcato «l’impegno a ridurre la dipendenza dai beni legati al nucleare civile dalla Russia», affermazione legata alla quasi totale dipendenza dalla Russia dell’uranio ad alto dosaggio e a basso arricchimento necessario per alimentare la generazione di reattori avanzati. Una dipendenza in completa contraddizione con la posizione espressa dall’Europa con il Critical Raw Materials Act, che ha posto già a partire dal 2030 l’obiettivo di non superare più del 65% del consumo UE di ciascuna materia prima strategica proveniente da un singolo Paese extracomunitario. Criticità confermata dal rifiuto da parte di Russia e Cina di firmare la dichiarazione sul nucleare della COP28 di Dubai, a dimostrazione del loro monopolio nel settore nucleare, tanto da accaparrarsi, indipendentemente da qualsiasi protocollo internazionale, l’intera quota del 8-9% che la IEA assegna al nucleare al 2050.

INFINE, UNA ULTIMA DOMANDA: la possibile rigidità della tecnologia nucleare a modulare la sua produzione per adattarsi alla richiesta di elettricità, potrebbe creare problemi gestionali e costi aggiuntivi rendendo ancora più alto il costo del kWh? Si faranno centrali nucleari nel mondo certo, ma non in Europa e non in tempi brevi. Concentriamoci ora sul 2030 e sulle rinnovabili, niente affatto ideologiche.

*Prorettore alla Sostenibilità, Sapienza Università di Roma