Curiosa coincidenza, anche in Germania è di attualità la riduzione del numero dei parlamentari: la grosse Koalition che sostiene il governo Merkel ha proposto pochi giorni fa una riforma con tale scopo. Nessuna propaganda «anti-casta» o «taglia-poltrone», però: la politica nella Repubblica federale è ancora una cosa seria. La questione nasce da un complicato effetto collaterale del sistema elettorale che, conducendo all’aumento complessivo dei deputati, rischia di rendere ingestibile un Bundestag troppo grande.

TUTTO DERIVA dalla natura ibrida del meccanismo di attribuzione dei seggi: l’impianto è proporzionale, ma la metà dei deputati (299 su 598) è eletta in collegi uninominali maggioritari. Ogni tedesco nell’urna ha due schede: la prima è quella del collegio uninominale, la seconda (la più importante) è quella delle liste dei partiti su cui si calcola la percentuale del risultato «vero». Il guaio è che può accadere – e alle ultime elezioni è accaduta – una cosa che manda il tilt la macchina: un partito può eleggere attraverso i collegi uninominali – la prima scheda – un numero di onorevoli superiore a quello che in teoria gli spetterebbe dagli esiti della seconda scheda, cioè dalla ripartizione proporzionale calcolata sul totale di 598. Principio proporzionalistico blindato da numerose decisioni della Corte costituzionale.

Per capire meglio, l’esempio concreto delle ultime elezioni: la Cdu/Csu con il 32,8% di voti sulla seconda scheda (ripetiamo: quella che conta di più) avrebbe dovuto ottenere 188 seggi sui 598 totali, ma vinse con la prima scheda ben 231 collegi uninominali sui 299 in palio. Che succede in una simile situazione, con 43 seggi «di troppo»? Qualcosa di inconcepibile per noi in Italia: viene innalzato il numero complessivo dei deputati, che la legge ordinaria (non la Costituzione) fissa sì a 598, ma non in maniera rigida. Esiste la possibilità, cioè, di aumentarlo in casi come questo, per permettere di mantenere, alla fine, la giusta proporzione fra i partiti in parlamento, attraverso dei «seggi di compensazione» da attribuire in più alle liste altrimenti penalizzate. Risultato: l’attuale Bundestag conta 709 membri.

Le proiezioni degli specialisti dicono che la prossima camera – si vota nel 2021 – rischia di essere ancora più grande perché i democristiani potrebbero fare incetta di quasi tutti i 299 collegi uninominali mantenendo però più o meno la stessa percentuale di consenso (della seconda scheda). Un fenomeno che si spiega in parte con l’indebolimento degli avversari diretti – i socialdemocratici della Spd – nelle gare uninominali, in parte con il voto utile anti-Afd: in molti collegi dell’Est anche le persone di sinistra potrebbero finire per scegliere con la prima scheda la Cdu pur di sbarrare la strada al candidato dell’estrema destra. Ma un parlamento-monstre con 800 membri non lo vuole nessuno, e quindi le forze dell’arco costituzionale si sono messe alla ricerca di una soluzione.

LA PROPOSTA della maggioranza prevede regole transitorie per le prossime elezioni e, a regime, la diminuzione dei collegi uninominali: da 299 a 280, cifra ritenuta sufficiente a non innescare in modo eccessivo la catena dei «seggi di compensazione». Per liberali, Verdi e Linke, opposizioni democratiche significativamente unite sul tema, bisogna fare di più: da un lato, scendere a 250 collegi uninominali, dall’altro, innalzare il numero totale di deputati da 598 a 630. Solo dal combinato disposto di queste due innovazioni sarebbe davvero raggiunto l’obiettivo di ridurre al minimo il rischio di far scattare la giostra dei seggi da aggiungere.

Il «totale» – va chiarito – resterebbe comunque in linea di principio flessibile, ma, secondo gli esperti delle opposizioni, di fatto resterebbe sostanzialmente invariato. Anche immaginando la Cdu/Csu che con il 32,8% facesse incetta di tutti i 250 collegi uninominali, l’effetto distorsivo calcolato sul totale di 630 sarebbe molto ridotto rispetto alla situazione attuale. Ora il cammino della riforma è finalmente avviato, ma il dibattito è ancora aperto alla ricerca di una condivisione più ampia.