Che non fosse un caso isolato, la morte tremenda inflitta a Giulio Regeni, lo abbiamo saputo da subito. Come tutti coloro che hanno un minimo di conoscenza e di relazioni con la società civile democratica egiziana.

Il dossier Egitto che l’Arci ha reso pubblico ieri, con gli inquirenti egiziani a Roma e gli sconvolgenti particolari del martirio di Giulio, è il nostro contributo alla campagna per la giustizia e la verità. Raccoglie report e informazioni sull’omicidio di Giulio e sulla repressione, la violazione dei diritti umani, il giro di vite contro le associazioni indipendenti e gli attivisti dei diritti umani in Egitto. È possibile leggerlo e scaricarlo qui.

Gli articoli sono di media egiziani e internazionali, i dati provengono dal lavoro di documentazione delle associazioni egiziane con le quali siamo in contatto permanente, e che da tempo cerchiamo di sostenere, diffondendo e sostenendo le loro iniziative.

Solo due settimane prima della scomparsa di Giulio, avevamo contribuito a promuovere la campagna promossa dalla Rete EuroMed Rights «Human Rights Beyond the Bars – Diritti umani dietro le sbarre: liberiamoli». È una iniziativa curata da una autorevole rete sociale di cui l’Arci fa parte, per far uscire dall’ombra i casi di attivisti detenuti in Egitto senza processo, o con accuse assurde, anche solo per aver indossato una maglietta anti-tortura. Si può diffondere, è cosa utile – i materiali si trovano qui.

Nello stesso periodo della scomparsa di Giulio stavamo anche contribuendo a rilanciare la campagna internazionale contro la riapertura in Egitto del processo contro le organizzazioni della società civile accusate di tradimento per aver utilizzato fondi stranieri. E cioè per aver realizzato progetti finanziati dalla Ue o da agenzie delle Nazioni Unite e di agenzie di cooperazione statuali, come fanno tutte le ong del mondo incluse quelle italiane.

Con la stessa accusa sono state già costrette a lasciare l’Egitto diverse organizzazioni internazionali. Ora tocca a quelle egiziane passare per queste forche caudine.

Guarda caso, sotto tiro sono proprio le associazioni per i diritti umani, quelle che raccolgono dati sul campo e denunciano le violazioni di diritti fondamentali, sempre più gravi e numerose contro attivisti e militanti democratici e normali cittadini. Le accuse sui fondi stranieri non sono il solo strumento che il sistema egiziano usa per silenziare le voci del dissenso.

Il manifesto ha già seguito la vicenda del Centro El Nadeem per le vittime di violenza, colpito da ordine di chiusura per lavoro di documentazione sulla tortura e a sostegno del quale proprio in questi giorni sarebbe importante aumentare la protesta internazionale.

Come riportiamo nel nostro dossier Egitto, nel 2015 il Centro Al-Nadeem per la Riabilitazione delle Vittime di Violenza ha riportato che 474 persone sono state uccise e 600 sono state torturate dalla sicurezza egiziana.

Si possono documentare 640 casi di tortura individuale, 36 casi di tortura di massa, 26 casi di condotta impropria verso detenuti e 358 casi di detenuti che hanno sofferto di negligenza medica.

In una sola stazione di polizia nel distretto Matareva del Cairo, i gruppi per i diritti umani hanno documentato 14 casi di morte in conseguenza di tortura negli ultimi due anni. E del resto parla chiaro la testimonianza riportata nel dossier del giovane italiano scampato alla stessa sorte di Giulio nelle carceri egiziane, costretto ad assistere a torture terribili su altri compagni di prigionia.

Gli attivisti egiziani, molti dei quali costretti all’esilio volontario per evitare la galera, molti altri sotto inchiesta con gravi capi di imputazione non smettono di battersi per il loro paese. Hanno assaporato l’ebbrezza del cambiamento, si sono visti scippare una rivoluzione, e nonostante la paura e la frustrazione insistono a chiedere al mondo di imporre all’Egitto la fine della repressione.

È l’unico antidoto, ripetono, contro la radicalizzazione. Ogni spazio pubblico, ogni violazione, ogni impunità rischia di consegnare altri pezzi di gioventù al radicalismo violento e al terrorismo: il rispetto dei diritti umani in Egitto è anche interesse primario per tutta la comunità internazionale.

Questo dossier vuole essere un omaggio alla memoria di Giulio, un contributo alla ricerca della verità sulla sua morte che non ci stancheremo di pretendere.

Lo dobbiamo a lui, alla sua forte e coraggiosa famiglia, ai suoi amici. Lo dobbiamo alle vittime della repressione, agli egiziani e alle egiziane. Ma lo dobbiamo anche a tutti noi.

* Francesca Chiavacci è Presidente Nazionale Arci
* Raffaella Bolini è responsabile relazioni internazionali Arci