A una settimana dal golpe del 26 luglio che ha rovesciato il presidente Mohamed Bazoum e che ha visto l’autoproclamazione del generale Abdourahmane Tchani a “capo del governo di transizione” del Niger, i riflettori si sono accesi sul destino della multinazionale francese Orano (ex Areva) nel paese dell’Africa occidentale. La maxi-impresa dell’energia nucleare ha iniziato ad aggiornare con una serie di comunicati stampa sullo stato di tutela dei suoi stabilimenti in Niger. L’ultimo risale al 3 agosto, dove ha fatto sapere che “I nostri team locali garantiscono la continuità aziendale nei siti operativi ad Arlit e Akokan, e nella sede centrale di Niamey con il supporto dei dipendenti in Francia”. La miniera di Arlit è l’unica dove l’estrazione di uranio è ancora attiva e che dovrebbe rimanere tale fino al 2040.

IL TIMORE DI PERDERE l’accesso ai giacimenti di uranio non sembrerebbe toccare la Francia. Alla conferenza stampa del 31 luglio, infatti, la diplomazia francese ha affermato: «Per quanto riguarda l’uranio, abbiamo una fornitura estremamente diversificata». Un funzionario del ministero dell’Energia, a sua volta, ha risposto al Politico che «la Francia non dipende da nessun sito, azienda o paese per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento delle sue centrali elettriche». A tal proposito, è utile ricordare che il paese d’oltralpe può vantarsi dell’indipendenza energetica grazie all’applicazione del principio del “contenuto energetico fisico” presentato nel Manuale sulle statistiche energetiche che considera – nel caso del nucleare – “energia primaria” non l’uranio, ma la quantità di calore prodotta dalle centrali nucleari. Sottolinea il Manuale che, se si tenesse conto dell’origine del combustibile nucleare, “aumenterebbe [statisticamente] la dipendenza dell’approvvigionamento da altri paesi”. Nel caso della Francia, il tasso di indipendenza energetica registratosi nel primo trimestre del 2023 è del 48%, un dato che si assesterebbe a poco più del 10% se l’uranio importato fosse considerato energia primaria. Sui dubbi riguardo alla sbandierata indipendenza energetica, un gruppo di ricercatori pubblicò nel febbraio 2022 su Le Monde una lettera aperta che si domandava: “Il cento per cento dell’uranio utilizzato dalle nostre centrali nucleari viene importato. In queste condizioni, come si può parlare di indipendenza energetica?”.

AD OGNI MODO, la World Nuclear Association riporta che la Francia ricava circa il 70% della sua elettricità dall’energia nucleare, gestendo 56 reattori nucleari con una capacità totale di 61 gigawatt (GW), più di due terzi dell’elettricità nazionale. Entro il 2032-2034, si dovrebbero costruire sei nuovi reattori EPR2 (European Pressured Reactors II) e avviare gli studi per la costruzione di altri 8 EPR e SMR (Small Modular Reactors) per una capacità nucleare pari a 25 GW entro il 2050. I reattori francesi si servono in media di circa 8mila tonnellate di uranio all’anno provenienti in gran parte dagli stabilimenti di Orano in Canada e Niger. Secondo il Comitato tecnico Euratom, nel 2022 la Francia ha importato 7.131 tonnellate di uranio, con un contributo del Kazakistan pari al 37,3%, seguito da Niger (20,2%), Namibia (15,8%), Australia (13,9%) e Uzbekistan (12,9%).

LA PARTITA DELL’URANIO in Niger non riguarda solo equilibri e analisi geopolitiche. La giornalista nigerina Ahmadou Atafa di Aïr Info Agadez ha postato sul suo account Twitter un video che riprende il sostegno al golpe delle diverse migliaia di nigerini riversatesi a Niamey il 3 agosto, intonando “Volta le spalle alla Francia, volta le spalle”: un invito alla fine dei rapporti politici con il paese d’oltralpe come sintomo di un’insofferenza diffusa verso le politiche predatorie francesi, e i suoi effetti sulla salute, il lavoro, l’ambiente.

Sebbene già l’1 agosto fossero girate voci sulla sospensione dell’esportazione di uranio e oro da parte del Niger con la Francia e gli Stati Uniti, non ci sono fonti ufficiali che lo accertino. Dopotutto «nella maggior parte dei colpi di Stato che il Niger ha vissuto, il settore dell’uranio non è mai stato fondamentalmente messo in discussione», ha detto a Le monde Emmanuel Grégoire, direttore emerito della ricerca all’Istituto di ricerca per lo sviluppo.

Dal canto suo, Orano ha fatto sapere che le sue attività non sono state intaccate dalla situazione politica, che «non si segnalano cambiamenti, la situazione è normale».