È stato un infarto a uccidere Nian Maguette, il venditore ambulante senegalese di 54 anni morto mercoledì scorso sul marciapiede del Lungotevere davanti all’isola Tiberina nel blitz «per il decoro» dei vigili urbani. È questo il risultato finale degli esami autoptici effettuati dai medici legali dell’università La Sapienza. Già nella giornata di sabato il referto della Tac aveva escluso che Nian avesse subìto percosse, quindi la chiazza di sangue ben visibile nel punto dove l’uomo si è accasciato sarebbe conseguenza della caduta e non di lesioni interne.

La famiglia di Maguette – in particolare il cugino Alex, che ne è portavoce – ieri non ha voluto commentare i risultati dell’autopsia non avendo ancora potuto esaminare con calma insieme ai legali tutta la documentazione allegata al referto. E comunque l’inchiesta aperta dal sostituto procuratore Francesco Paolo Marinaro per omicidio colposo non si è ancora conclusa.

Restano da vedere le circostanze, come e perché il cuore di Nian alla fine non ha retto. Se sia stato sottoposto a un forte stress dato dagli inseguimenti dei vigili e dalla paura dell’ennesimo sequestro della merce, le borse finte con cui Nian doveva tentare di sfamare la numerosa famiglia.

Il fratello di Maguette, M. di 37 anni, racconta che «doveva mandare almeno 500 euro al mese in Senegal per garantire la sopravvivenza alle tre mogli e ai suoi quindici figli, tutti piccoli e tutti dipendenti da lui: il più grande di 15 anni e il più piccolo di un anno o poco più». Maguette non sempre riusciva a spedire questi soldi, pur facendo economie su tutto. «È veramente poco il guadagno che si fa sulle borse — spiega un giovane a cui Maguette aveva insegnato il mestiere – e a volte l’ho visto mangiare solo un pezzo di pane». «Era un uomo gentile, aveva sempre una buona parola e un consiglio per tutti», aggiunge un altro ragazzo che lo conosceva bene.

Scappare dai vigili per vendere: Nian Maguette aveva sempre fatto questo per vivere, da quando era arrivato in Italia nel 2001. Oltre quindici anni di questa vita, non propriamente salutare. «Cos’altro dovremmo fare? Noi non spacciamo droga, non facciamo prostituzione, non abbiamo legami con la criminalità, però i vigili ci perseguitano», dicono i senegalesi che sono scesi in piazza ogni giorno dopo la morte di Nian. Per chiedere «verità» sulla sua fine ma anche «giustizia» per tutti quelli che come lui devono affrontare ogni giorno le retate e i sequestri della squadra speciale anti abusivi della Municipale, il Gruppo speciale sicurezza urbana (in sigla Gssu) : un manipolo di poliziotti che per inseguire gli ambulanti nelle stradine e colpirli di sorpresa si muove in borghese a bordo di moto da semi-cross senza alcun distintivo di riconoscimento, i cosiddetti Falchi.

«Mercoledì l’operazione nei pressi di ponte Fabricio non era del Gssu ma del Gruppo Trevi», riferiscono dal comando di Roma capitale, dove – contrariamente alle minacce riportate tra virgolette su Repubblica in cronaca di Roma – non risulta alcuna querela contro Maria Delfina Bonada, vedova di Valentino Parlato, che sul manifesto di sabato ha raccontato di aver visto quel giorno, uscendo dalla camera mortuaria del Fatebenefratelli, i vigili all’inseguimento degli ambulanti senegalesi. «Dice falsità», «vuole speculare sulla vicenda», «inseguirli non solo è lecito ma doveroso: vendono merce contraffatta», sono alcune delle frasi contro Delfina Bonada.

In effetti la raccomandazione pressante a evitare gli inseguimenti perché pericolosi risale al comandante nominato dal sindaco Ignazio Marino – Raffaele Clemente – costretto a tornare al Viminale dopo aver denunciato corruttele e assenteismo tra i vigili della capitale.