L’ambasciatore della Francia se ne vada. Ma solo quello della Francia. Ennesimo colpo di scena nell’atmosfera sospesa, alla Aspettando Godot (come scrive da Niamey il missionario italiano Mauro Armanino), che caratterizza la vita ordinariamente dura dei nigerini da un mese. Da quando, il 26 luglio scorso, un putsch ha deposto il presidente Mohamed Bazoum e si è insediato il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp), nominando anche un governo.

Scadono stasera, le 48 ore concesse dai militari nigerini all’ambasciatore francese Sylvain Itté per lasciare il paese. Nella lettera inviata al Quay d’Orsay, il ritiro delle credenziali è motivato con il rifiuto del diplomatico di rispondere all’invito del ministero per un colloquio e con «altre azioni del governo francese contrarie agli interessi del Niger». Da Parigi, un comunicato del ministero degli esteri ha spiegato che i golpisti non possono espellere Itté, nominato dal presidente legittimo.

A sua volta Niamey ha confermato la propria «prerogativa sovrana». E un documento interno del capo della difesa avrebbe ordinato alle forze armate la «massima allerta per evitare la sorpresa generale»; secondo la Reuters, una fonte confidenziale nel paese conferma l’autenticità della nota.

SMENTITA INVECE, da tutti gli interessati, la notizia di un analogo ultimatum agli ambasciatori di Germania, Nigeria e Stati uniti, pur circolata sui media internazionali (con tanto di foto di lettere falsificate).

Le tensioni con la Francia sono state numerose in queste settimane. La giunta di Niamey ha stracciato diversi accordi di cooperazione militare con Parigi e all’inizio di settembre scadranno i 30 giorni concessi per lasciare il paese ai 1.500 militari francesi presenti (insieme a tedeschi, statunitensi e italiani). Le truppe di Parigi – la cui base in Niger continua a essere oggetto di proteste – hanno già fatto le valigie da Mali, Burkina Faso e Repubblica centrafricana.

Il Niger accusa i francesi di «manovre di destabilizzazione» e di premere sulla Cedeao-Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) per un intervento militare in Niger al fine di ripristinare la presidenza di Bazoum (in caso di fallimento delle pesanti sanzioni e dei negoziati in corso).

A questo proposito, venerdì il generale Tchiani, leader del Cnsp, ha autorizzato le autorità di Mali e Burkina Faso a intervenire militarmente a fianco di Niamey «in caso di aggressione». E in coordinamento con i due paesi vicini, ugualmente retti da militari, la giunta del Niger sostiene che «proseguono e si intensificano» anche le operazioni anti-terrorismo, nella zona detta delle «tre frontiere».

Ed è soprattutto il rischio che un’azione militare della Cedeao-Ecowas possa avere «conseguenze disastrose» anche aiutando i jihadisti, a muovere l’iniziativa negoziale dell’Algeria, che ha avviato consultazioni in Nigeria, Ghana, Benin e Niger.

PER LA CEDEAO, il commissario pace e sicurezza Abdel-Fatau Musah ha detto alla Associated Press che «la porta per il negoziato con la giunta di Niamey rimane aperta ma non ci impegneremo in discussioni infinite. Lo abbiamo fatto con Mali, Burkina Faso e altri e non siamo arrivati da nessuna parte. Se permettiamo al golpe di proseguire, avremo un effetto domino; diciamo basta».

E il presidente della commissione della Cedeao, Omar Alieu Touray, ha respinto come «provocazione» la proposta di un periodo di transizione di tre anni verso la democrazia, sulla base di un dialogo nazionale, presentata dalla giunta di Niamey alla missione di negoziatori recatasi una settimana fa nella capitale nigerina.

Invece il capo della missione, l’ex presidente della Nigeria Abdulsalami Abubakr, con l’Ap si è dimostrato più ottimista, ha detto che l’idea dei tre anni è «un passo avanti» rispetto al non dialogo e che l’unico punto fermo della giunta è il rifiuto del ritorno al potere di Bazoum. Anche il presidente di Capo Verde, già dichiaratosi tempo fa contrario all’uso delle armi, ha accolto l’idea della transizione.

L’UNIONE AFRICANA, con il suo Consiglio pace e sicurezza (Psc), ha tardato molto a esprimersi in un documento di compromesso fra gli Stati membri, uscito giorni fa. Il Consiglio sospende il Niger da tutte le attività dell’Ua, non sconfessa la Cedeao ma nemmeno avalla un suo eventuale intervento armato, limitandosi a «prendere nota» e chiedendo di valutarne le conseguenze economiche, sociali e securitarie oltre a riaffermare la volontà di privilegiare l’opzione diplomatica.

Fa proprie le sanzioni decise dalla Cedeao, ma chiede di «vegliare alla loro applicazione con criteri di progressività e minimizzare i loro effetti sulla popolazione nigerina». Nella regione, insistono per il dialogo anche molti parlamentari e politici.

L’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo ha detto a Le Monde che occorre evitare «la guerra più stupida», impiegando invece contro il terrorismo la forza di intervento congiunta, e additando il presidente attuale Alassane Ouattara che si spende tanto per la «democrazia» in Niger ma è al terzo mandato, in violazione della Costituzione. E le manifestazioni popolari si susseguono.

Ieri la diaspora beninese in Niger, uomini, donne e bambini, ha marciato numerosa contro l’intervento armato, con le bandiere dei due paesi. Da Cotonou, Laurent Metongnon, ex detenuto politico beninese, poi amministratore del Tesoro in pensione, ha lanciato un appello a costituire in ogni città e villaggio del Benin e altrove «comitati di opposizione alla guerra» chiedendo a due ex presidenti della Repubblica di associarsi all’iniziativa. Il gruppo della società civile nigerina M62 chiede alle truppe della Francia di lasciare il paese.

ANCHE MOVIMENTI REGIONALI, come la West Africa Peoples Organisation (Wapo) e la Convergenza globale delle lotte per l’acqua e la terra-Africa occidentale insistono avanzando richieste specifiche sia alla giunta di Niamey (una transizione inclusiva, la protezione delle risorse; sostegni per gli agricoltori e le necessità di base della popolazione), sia alle potenze straniere (stop alla rapina delle risorse, stop alle ingerenze, chiudere le basi), sia alla Cedeao (niente intervento armato, dialogo con le autorità attuali sulla transizione, togliere le sanzioni, unirsi contro la minaccia del terrorismo).

Dovrebbero fungere da ulteriore deterrente a un’azione militare le condizioni di vita già estreme del popolo nigerino. A causa del blocco delle frontiere, ben 25 km di camion – carichi di alimenti, materiali e anche aiuti umanitari – sono fermi a Malanville nel Benin settentrionale.

E in Niger, almeno quattro milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari. Inoltre i migranti in transito non possono essere riaccompagnati dall’Onu nei paesi d’origine e sopravvivono in centri di accoglienza strapieni, soprattutto nel nord, ad Assamaka. E c’è chi è ripartito, per ritentare una rischiosissima traversata del deserto, spiega Info-migrants.