I Talebani sono al potere, un dato di fatto con cui fare i conti ma senza che questo comporti il riconoscimento del governo, né posizioni comuni sul come interloquire con loro. L’Afghanistan affronta una gravissima crisi umanitaria, ma nessuno vuole farsi carico dei costi per scongiurarne il collasso strutturale.
All’Onu finisce la patate bollente, in vista di un disimpegno futuro. Il G20 straordinario si potrebbe sintetizzare così. Per il presidente del consiglio dei ministri Mario Draghi è stato invece un successo. Così ha dichiarato nella conferenza stampa a conclusione dell’incontro virtuale che ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle 20 principali economie del mondo, oltre al Qatar – Paese mediatore tra i Talebani e la comunità internazionale – e ai rappresentanti del Fondo Monetario internazionale e della Banca mondiale.

«È la prima risposta multilaterale alla crisi afghana. Il multilateralismo sta tornando come schema di lavoro dei Paesi del mondo», così Mario Draghi. Il quale ha avuto il merito di porre la questione afghana all’ordine del giorno, ma senza ottenere risultati concreti. Ha pesato l’assenza del presidente russo Vladimir Putin e di quello cinese Xi Jinping, sostituito dal ministro degli Esteri Wang Yi, che non ha rinunciato a qualche stoccata, annunciando assistenza umanitaria per 200 milioni di yuan (circa 26 milioni di euro) e invocando il rispetto della sovranità del Paese. La loro assenza ipoteca la soluzione di tanti problemi afghani. La Russia e la Cina, infatti, ribadiscono da settimane che dovrebbero essere gli Usa e i Paesi della Nato, responsabili della situazione attuale, a farsi carico dei problemi finanziari dell’Afghanistan.

Il Paese rischia il collasso strutturale. A dirlo chiaro e tondo, alla vigilia del vertice, è stato Antonio Guterres, il segretario generale dell’Onu. Occorre fare presto, ha dichiarato, perché l’economia, perlopiù dipendente dall’esterno, non può più aspettare: «Le banche stanno chiudendo e i servizi essenziali come la sanità sono stati già sospesi in alcuni luoghi». Serve liquidità, subito, per evitare il collasso. «O la va o la spacca», ha sintetizzato Guterres.

Rimangono però congelate le riserve della Banca centrale, custodite alla Federal Reserve di New York, così come i trasferimenti monetari congelati dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale subito dopo la presa del potere dei Talebani, a metà agosto. Il 13 settembre la comunità internazionale si è impegnata per 1,2 miliardi di dollari in aiuti umanitari, ma solo un terzo circa della cifra è arrivata a destinazione. Al G20 straordinario tutti si sono detti consapevoli del rischio incombente, ma impegni precisi non se ne sono visti, tranne quelli della Commissione europea, che ha annunciato un pacchetto di aiuti per un miliardo di euro.

“Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare un grave collasso umanitario e socio-economico in Afghanistan. Dobbiamo farlo in fretta”, ha sottolineato la presidente della commissione Ursula von der Leyen, per la quale non deve essere il popolo a “pagare il prezzo delle azioni dei Talebani”. Il sostegno, ha precisato, andrà anche ai Paesi limitrofi, assenti al vertice. L’idea è che siano i Paesi confinanti a farsi carico in particolare della inevitabile spinta migratoria dall’Afghanistan. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che “la Turchia non può permettersi un nuovo flusso di migranti dall’Afghanistan, ne sarebbero colpiti anche i Paesi europei”. Un modo per “battere cassa” e rivendicare la centralità di Ankara nella partita in corso.

Erdogan ha anche proposto di formare un gruppo di lavoro sulla migrazione, nel corso della prossima presidenza indonesiana del G20. Mario Draghi ha invece enfatizzato il mandato che il G20 ha attribuito alle Nazioni Unite, affinché coordini le azioni di aiuto umanitario. Un modo per bypassare il nodo politico centrale: come trattare i Talebani. Ma anche, nel lungo termine, per scaricare sull’Onu le maggiori responsabilità. A Doha, intanto, si è tenuto un primo importante incontro trilaterale: rappresentanti dell’Unione europea, un esponente dell’amministrazione statunitense e alcuni leader talebani.