«I migranti hanno bisognoi mezzi sicuri e corridoi umanitari protetti, non di barconi che affondano». Francesca è una delle 5mila persone che ieri pomeriggio hanno scelto di marciare a Bologna per l’accoglienza e per dire che «nessuno è illegale». Accanto a lei centri sociali, associazioni, sindacati e tutti i partiti della sinistra, meno il Pd.

Un corteo festoso aperto da centinaia di migranti arrivati da tutta l’Emilia-Romagna: è stata questa la risposta della città alla chiamata della fitta rete di sigle che ha dato vita al corteo «No one is illegal». Una marcia nata dal basso, terminata con un minuto di silenzio per i migranti morti in mare, e che ha visto l’adesione di Sinistra Italiana, Possibile e della locale Coalizione civica. Ma non del Pd, in imbarazzo per le critiche al governo arrivate dagli organizzatori.
«Documenti, tessera sanitaria e lavoro, vogliamo solo questo», dice Issa, giovane maliano in Italia da tre anni. Adam, arrivato nel 2015 dal Burkina, parla del razzismo che ha incontrato in Italia e dei denti che non riesce a curarsi «perché curarsi costa e di soldi non ne ho». Un suo amico invece ci tiene a parlare di Salvini: «Lo vedo sempre in tv a parlare male di noi, ma io sono qui perché ho ottenuto l’asilo, sono scappato dalla guerra. Davvero sono un problema?». C’è anche chi critica l’accoglienza bolognese, come una ragazza saudita che è passata dall’hub, l’ex Cie chiuso anni fa anche su pressione del Comune e ora centro di smistamento per i migranti di tutto il nord Italia. «Eravamo tutti ammassati, ci sono stata solo otto giorni ma c’è chi rimane lì per tre mesi».

Se in mezzo al corteo si stagliava un grande striscione contro la legge Bossi-Fini, il bersaglio degli organizzatori è la legge Minniti-Orlando, quella che comprime i diritti dei migranti che fanno richiesta d’asilo. Altre critiche arrivano alla futura apertura di nuovi Cie in tutta Italia. Da qui, visto gli slogan antigovernativi, la decisione del Pd di non aderire, e così – al contrario di quanto successo a Milano lo scorso 20 maggio – in piazza gli eletti democratici si sono contati sulle dita di una mano. Così come non si è fatto vedere il sindaco Virginio Merola.

«Bologna ha fatto e fa tanto per i migranti, il sindaco poteva essere più coraggioso», sintetizza Roberto Morgantini, volto buono della città quando si parla di accoglienza e fondatore delle Cucine popolari. «Merola non viene in piazza perché critichiamo una legge razzista decisa dal governo e da un ministro del suo partito? Accoglienza significa prima di tutto restare umani», replicano i manifestanti. «In questa piazza potevano starci tutti, anzi manifestazioni del genere dovrebbero essere organizzate in ogni città», ha aggiunto il deputato di Sinistra Italiana Giovanni Paglia.

Ma dal camioncino in testa al corteo gli attacchi contro il Comune sono stati duri, e anche contro gli esponenti del Pd che avevano annunciato la propria partecipazione. È toccato alla vicepresidente della Regione, la renziana Elisabetta Gualmini definita «ospite non gradita e non compatibile con la piazza».

«Questo corteo avrebbe dovuto essere compatibile con tutti e loro hanno sbagliato moltissimo a dare questo taglio», ha invece commentato l’ex assessore al Welfare del Comune di Bologna Amelia Frascaroli. Che però ha aggiunto: «È inutile che la giunta dica di non essere stata coinvolta nella definizione della piattaforma politica. A Milano il sindaco Sala, che non è un bombarolo, è riuscito a radunare gran parte della città con proposte concrete che, se venissero applicate, renderebbero inutile il decreto Minniti».