«Pensavo che tutti quei territori riconquistati e i soldati russi in fuga significavano che la guerra stava per finire» dice Alina, una signora di circa sessant’anni, in Piazza della libertà, di fronte al famoso palazzo dell’amministrazione regionale di Kharkiv danneggiato dai bombardamenti. «Invece no, ora ne arriveranno altri». Alina scoppia a piangere, dice che non vuole tornare a dormire nella metro, che non ce la fa più.

CHISSÀ QUANTI UCRAINI come lei credevano che stesse per finire e sono stati costretti a ricredersi. Per le strade della seconda città d’Ucraina il clima non è lo stesso del giorno prima. I passanti non hanno voglia di parlare, le signore come Alina filano via e gli uomini spesso non rispondono. Roman, nato a Kharkiv 57 anni fa e coscritto ai tempi dell’Unione sovietica racconta che a fine anni ’80 era in Nagorno-Karabakh, prende una foto dal portafoglio e me la mostra. «Prima era in un documento dell’Urss, ci ero affezionato ma ora l’ho tolto, sai…».

Roman parla un po’ dell’attacco che stanno subendo gli armeni e poi, come un lampo, si ricorda della domanda iniziale. «Ieri mattina sono andato a Kupjansk – racconta di fronte a un chiosco – a trovare mio padre che non vedevo da mesi, non sapevo neanche se era vivo».

GLI UCRAINI SONO ENTRATI a Kupjansk la settimana scorsa ma l’ingresso ai civili non è stato permesso subito dato che alcune aree a est della città non sono ancora sicure. «Era vivo, ha la pelle dura». Gli chiedo perché non l’ha portato con sé. «E secondo te non ci ho provato? Impossibile, vuole rimanere lì, dice che tanto è uguale e che lui non abbandonerà mai casa sua». Roman diventa cupo, «quando sono arrivato lì e l’ho visto, in mezzo ai nostri militari che lavoravano tutt’intorno ho avuto l’impressione che fosse finita, che potevo ricominciare ad andare a Kupjansk una volta alla settimana, che mio padre mi avrebbe dato di nuovo le verdure dell’orto». Si mette a piangere anche lui, come Alina, «e invece quel bastardo non ne ha ancora abbastanza».

I PIÙ GIOVANI, soprattutto se militari, non la pensano allo stesso modo. Un gruppo di soldati in pausa su una panchina al sole inizia a deridere il discorso di Putin. Oleksandr, evidentemente il più giovane, si atteggia con la faccia seria: «Abbiamo raggiunto tutti i nostri obiettivi: fare una figuraccia davanti al mondo, farci prendere a calci in culo dagli ucraini e far morire i nostri soldati; ora manderemo altri soldati a morire così in Russia rimarrò solo io con i miei amici». Gli altri ridono. Provo a chiedergli di nuovo, «seriamente», se non hanno paura di questi 300 mila militari in arrivo. «Sono come l’ultima “grande armata” inviata da Putin: 10 mila uomini che – bum – si sono dissolti nel niente».

MOLTO SIMILE IL TONO delle dichiarazioni pubblicate sul suo profilo Twitter dal ministro della Difesa di Kiev, Oleksii Reznikov. Secondo Reznikov il governo russo ha rilanciato la produzione delle Moskvich (storiche auto sovietiche prodotte fino al 2010) che saranno date alle 300 mila famiglie dei riservisti inviati in Ucraina come compensazione per la perdita del proprio caro. Poco dopo ha aggiunto alcune proiezioni sulle perdite militari russe e invitato i russi a «fare i compiti di matematica», pubblicando quello che a suo parere sarà «il più diffuso problema per gli studenti russi e i loro genitori il prossimo autunno», ovvero «quanto ancora durerà la guerra della Russia contro l’Ucraina se continuerà finché tutte le truppe mobilitate saranno uccise?».

Dmitro Kuleba, ministro degli Esteri ucraino in viaggio ufficiale a New York per l’assemblea generale dell’Onu, ha tenuto un tono più istituzionale. «I finti referendum – ha detto – non cambieranno nulla. E nemmeno qualsiasi “mobilitazione” ibrida. La Russia è e rimane un aggressore che occupa illegalmente parti del nostro territorio. L’Ucraina ha tutti i diritti di liberare i propri territori e continuerà a liberarli, qualunque cosa abbia da dire Mosca».

A PROPOSITO DEI REFERENDUM, Mikhailo Podolyak, consigliere del presidente Zelensky, ha tenuto a specificare ai suoi concittadini che «gli ucraini nei territori occupati dovrebbero essere vigili e non fornire i dati del loro passaporto agli stranieri; qualsiasi partecipazione a “referendum” sarà qualificata come una violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina».