«L’alleanza tra Hamas e Iran è stabile, sono innumerevoli gli interessi comuni a cominciare, ovviamente, dalla lotta a Israele. L’Iran ha bisogno di Hamas nel suo confronto con Israele e il movimento islamista ha bisogno dell’Iran». Ghassan Khatib, analista e docente universitario, rispondendo alle domande del manifesto ridimensiona le «incomprensioni» emerse di recente tra Hamas e Teheran di cui si parla da qualche giorno. Allo stesso tempo Khatib conferma che una parte di Hamas si aspettava di più dall’Iran dopo il 7 ottobre. «Una corrente è delusa – ci dice – si attendeva una posizione più decisa, anche militarmente, (dell’Iran) contro Israele».

Non è facile decifrare lo stato delle relazioni tra i due alleati. Tuttavia, nell’«asse della resistenza» guidato dall’Iran – che comprende oltre ad Hamas anche il Jihad palestinese, l’Hezbollah libanese, gli Houthi yemeniti e alcune organizzazioni sciite irachene – non regna un’armonia completa come si vorrebbe far credere all’esterno.

I SEGNALI più evidenti si sono avuti subito dopo il 7 ottobre quando il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, non sono scesi in campo con tutta la loro forza contro Israele. Nasrallah e Khamenei hanno affermato con molta chiarezza che l’attacco di Hamas è stata «una operazione tutta palestinese» non coordinata in alcun modo con Hezbollah e Iran.

All’inizio di novembre il capo dell’ufficio politico di Hamas all’estero, Ismail Haniyeh, ha incontrato Khamenei a Teheran. Secondo la Reuters, la Guida suprema ha detto chiaramente che Hamas non aveva dato alcun avvertimento dell’attacco del 7 ottobre e che, pertanto, l’Iran non sarebbe entrato in guerra con Israele pur continuando ad offrire al gruppo sostegno politico e morale. L’Iran non ha smentito le notizie date dall’agenzia di stampa britannica. Hamas ha impiegato dieci giorni per negarle. Poi lo scorso mercoledì il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Ramezan Sharif a sorpresa ha affermato che l’attacco del 7 ottobre sarebbe scattato per vendicare l’assassinio da parte degli Usa nel gennaio 2020 di Qassem Soleimani, il comandante della Forza Quds della Guardia rivoluzionaria iraniana. Hamas ha smentito subito e con fermezza precisando che «tutte le azioni della resistenza palestinese sono una risposta all’occupazione israeliana e alla sua aggressione contro il popolo palestinese e i suoi luoghi santi». Di fronte all’irritazione del movimento islamico palestinese, la dichiarazione di Sharif nel giro di qualche ora è scomparsa dai media ufficiali iraniani. In realtà i rapporti tra Hamas, sin dalla sua creazione, e l’Iran non sono stati sempre lineari come si tende a credere in Occidente.

IL COMUNE NEMICO, Israele, rende alleate le due parti, ma Hamas resta un movimento sunnita partorito dai Fratelli Musulmani e l’Iran un paese dominato dallo Sciismo. Secoli di ostilità tra musulmani sunniti e sciiti non possono essere superati solo con una alleanza politica e militare. Senza dimenticare che nel 2011, con l’inizio delle Primavere arabe, Hamas scelse di allontanarsi dagli alleati sciiti – Hezbollah, Iran e Siria – per abbracciare la causa sunnita al punto di lasciare Damasco e di trasferirsi in Qatar. Scelta sconfessata anni dopo con il ritorno a una stretta alleanza con Teheran imposta dall’ala militare di Hamas.

La situazione è sempre più fluida nella regione e una escalation non si può escludere specialmente dopo l’assassinio compiuto da Israele a Damasco di Ravi Mousavi, uno dei più importanti comandanti della Forza Quds iraniana. Teheran alza la voce, ma difficilmente andrà allo scontro frontale con Tel Aviv.