Il Psoe di Sánchez ha trionfato, la maggioranza in effetti ci sarebbe. Con il supporto degli alleati naturali: Unidas Podemos, En Comú, Compromís, i nazionalisti baschi del Pnv e la necessaria astensione dei repubblicani catalani di Erc. Poi ieri le prime incertezze.

Le dichiarazioni della ministra socialista Carmen Calvo, vicepresidente del governo in funzione, confermano che i socialisti preferiscono governare da soli, senza coinvolgere Unidas-Podemos: «Abbiamo un sostegno più che sufficiente per essere il timone di questa nave che deve continuare il suo corso». Nella notte di euforia i socialisti hanno festeggiato Pedro Sánchez, ma lo hanno implorato di non stringere accordi con Albert Rivera, leader di Ciudadanos, con quei 57 deputati che darebbero una comoda maggioranza al Psoe, che sono lì a sedurre, ma che deluderebbero ancora una volta chi si è fidato del voto utile, rendendolo inutile e dannoso.

L’elettorato ha detto con lucidità che vuole un governo che porti la Spagna rapidamente fuori dalla sciagura sociale provocata dal liberismo e che prosegua sulla strada tracciata dalla finanziaria, che voleva togliere qualcosa ai ricchi per redistribuire tra i poveri, come concordato con Unidas Podemos. Ha votato per un governo che metta fine alla precarietà e allo sfruttamento del lavoro e quindi cancelli le leggi, comprese quelle votate dai socialisti, che hanno permesso alla precarietà di dilagare. Il voto di domenica ha chiesto una Spagna che trasformi in scelte politiche l’impegno per fermare il cambiamento climatico, per rilanciare la trasformazione del modello energetico riducendone i consumi e soddisfacendo quelli necessari con le fonti rinnovabili.

È stato un voto per una Spagna indisponibile a restaurare quel medioevo di ingiustizie sociali e esproprio di diritti acquisiti che le tre destre, Pp, Ciudadanos e i fascisti di Vox, avrebbero voluto realizzare se avessero conquistato la maggioranza.

È la richiesta di una Spagna progressista, più libera e capace di uguaglianza, cioè in grado di raccogliere la sfida che le femministe spagnole hanno intrapreso per sovvertire il patriarcato, attivandosi anche in una campagna contro l’astensione. Infine è stato un voto che chiede una soluzione politica alla crisi territoriale, non solo catalana, nel segno del dialogo e non dello scontro frontale a cui portano l’unilateralismo indipendentista e la soppressione di ogni autonomia, con, nella costituzione, un articolo 155 permanente come vogliono le destre, ma anche tanti socialisti.

La sinistra repubblicana di Catalogna, Erc, partito indipendentista vincitore della notte elettorale in Catalogna, prima volta nella storia di Spagna dopo Franco, ha già posto le sue condizioni per un possibile sostegno all’investitura di Sánchez. «La domanda non è ciò che Erc farà con il Psoe, ma ciò che il Psoe farà con la Catalogna. Chiederemo un tavolo di dialogo che riunisca tutte le forze, parli di un referendum e chiederemo leggi per revocare le accuse contro i compagni indipendentisti».

Le trattative per il governo verranno aperte nei prossimi giorni, non daranno luogo a accordi chiusi, molto probabilmente si aspetterà la campagna per le elezioni comunali, regionali ed europee del prossimo 26 maggio.

Intanto il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, si congratula con Sánchez per la chiara vittoria del Psoe e gli ricorda l’importanza di formare un governo stabile, filo-europeo, che consenta alla Spagna di continuare a giocare un ruolo importante nell’Ue. Il gruppo Santander, banca e società di servizi finanziari spagnola, fa sapere che una coalizione tra Psoe e Ciudadanos farebbe piacere ai mercati proprio perché «la posizione liberale di Cs sarebbe meglio accolta rispetto al populismo di Unidas Podemos».

Ora Pedro Sánchez dovrà resistere al canto delle sirene.