Un gioco di specchi deformanti, una finzione, una fiera delle menzogne. La «soluzione» di compromesso raggiunta da Angela Merkel e Horst Seehofer lunedì notte per salvare la coalizione di governo è anche tutto questo.

Soprattutto non è quello che i due contendenti spacciano come vittoriosa affermazione del proprio punto di vista. Non è quella soluzione che conserverebbe lo «spirito» dell’Ue che si aggira ormai solo nella retorica della Cancelliera, né quel respingimento unilaterale e immediato alla frontiera che il leader della Baviera, forte anche della sua nuovissima istituenda polizia confinaria, vanta di aver portato a casa. Il trucco c’è e si vede. Il migrante che varca il confine germanico sarà rinchiuso a ridosso della frontiera in «centri» che pur trovandosi sul suolo tedesco non sono giuridicamente Germania. E da questi non-luoghi, una volta respinta la domanda d’asilo, rispedito, secondo l’immodificabile accordo di Dublino, nel paese europeo dove ha fatto il suo ingresso «primario» nell’Unione. Sulla base di accordi con i paesi di provenienza che nei casi più critici, come l’Italia e l’Austria, non sono nemmeno all’orizzonte.

Questo tortuoso filtraggio burocratico-amministrativo della brutalità nazionale è il prodotto di una impressionante somma di debolezze. La Csu bavarese non poteva rompere con la Cdu nazionale di Merkel, pena precipitare se non proprio nell’irrilevanza, quasi (neanche un Panzer politico come Franz Joseph Strauss era riuscito negli anni ’70 a varcare i confini regionali per competere con la Cdu nel resto del paese). La Cancelliera, a sua volta, non poteva separarsi dai cugini bavaresi senza dover subire un attacco furibondo e forse fatale dalla destra del suo stesso partito e da quanti (molti) covano ormai insofferenza per il suo interminabile regno.

E la Spd? Posto che esista ancora un soggetto vivente che risponde a questo nome, il terrore di nuove elezioni, per quanto improbabili, è sufficiente a metterlo a tacere. Non c’era bisogno di una estenuante trattativa e di uno sterminato «contratto di governo» per giungere a questo grado di subalternità. Non è passato un secolo da quando l’allora segretario socialdemocratico Sigmar Gabriel aveva definito questi «centri» indecenti e inammissibili. La Grande coalizione resta, ma gli equilibri politici sono ormai mutati in profondità. L’asse si è decisamente spostato a destra.

Tra i due mentitori è comunque il ministro degli interni Horst Seehofer quello che mente di meno. Di certo non è una decisione europea quella adottata nella notte berlinese. Dietro la cortina della finzione che sospinge fuori dal paese legale la cernita e l’espulsione dei migranti, si tratta di una scelta nazionale tutta tedesca. Che, in quanto tale, legittimerà altrettanto arbitrio sovrano in altri paesi i cui governi, del resto, non aspettano altro. Quelli di «arrivo primario» si riterranno sollevati da ogni obbligo umanitario alle loro frontiere meridionali e già minacciano, a cominciare da Vienna, di sprangare anche quelle settentrionali per impedire il rientro dei respinti dalla terra di nessuno inventata e governata da Berlino. I nazionalismi si rafforzano confliggendo, come la storia dovrebbe avere insegnato anche ai più ottusi. L’argine che la leader della Cdu aveva tentato di puntellare, frana rovinosamente. Secondo l’incredibile favola che propina all’opinione pubblica europea, sarebbe scesa a patti con il suo ministro degli interni per «salvare Schengen».

Quando è invece del tutto evidente che è proprio alla libera circolazione tra i paesi dell’Ue che questo «compromesso» vibra un colpo durissimo e gravido di cupe conseguenze. Non sarebbe sorprendente trovarsi presto di fronte a interpretazioni estensive dei controlli di frontiera che coinvolgano anche i cittadini dell’Unione. Le «soluzioni nazionali» non faranno che moltiplicarsi, più o meno mascherate, più o meno rivendicate. La risposta politica ai flussi migratori in Europa è l’aspetto più visibile e demagogicamente spendibile dei conflitti che lacerano il Vecchio continente. Non certo il suo problema principale e nemmeno, al giorno d’oggi, un’emergenza vera e propria. La drammatizzazione del tema veicola, in realtà, molteplici rese dei conti tra le diverse entità nazionali che aderiscono all’Unione e tra le forze politiche interne che se ne contendono il governo.

La Germania, per la sua posizione centrale ed egemonica ha cercato, nel bene e nel male, di tenere in vita una forte prospettiva europea, ma ancorandola troppo strettamente ai suoi dogmi economici e ideologici e finendo, così, per indebolirla e screditarla. All’esterno fomentando l’insofferenza dei paesi debitori colpiti dalle politiche di austerità e, all’interno, lasciando che questa insofferenza fosse vissuta come una minaccia per gli interessi dei cittadini tedeschi che hanno cominciato a rivolgersi alle formazioni nazionaliste e xenofobe a cominciare dall’Afd. La cui pressione ha infine condotto al miserabile compromesso stretto tra Merkel e Seehofer sulla pelle dei migranti e ai danni dell’Europa.