Nelle turbolenze agostane sembrava che a Palazzo Chigi si fosse trasferita l’Isola dei famosi. Il discorso, la replica e le dimissioni di Conte recuperano una normalità – si fa per dire – istituzionale, e il ritiro della mozione di sfiducia della Lega vale solo per il gioco del cerino.

Tutto ora dipenderà da quel che i partiti diranno a Mattarella, che già sappiamo non vorrà essere artefice primo di maggioranze più o meno alternative, e chiederà soluzioni rapide. Diversamente, al voto con un governo di garanzia. In ogni caso, almeno nell’immediato il governo rimarrà in carica per il disbrigo degli affari correnti.

Il discorso di Conte si è svolto su tre punti. Il primo, l’attacco a Salvini, durissimo. Non alla Lega, che però è difficile pensare si separi da Salvini. Il secondo, la difesa – anche nella replica – di sé stesso e del governo, assolto da ogni peccato. Il terzo, un programma di legislatura. Pare che il premier si sia autocandidato per un governo bis. Ma con chi? Con quali prospettive?

Macaluso e Bevilacqua, su queste pagine, hanno sostenuto la necessità di evitare una devastante avanzata della destra. Un argomento fortissimo, che però presuppone un accordo di lunga durata Pd-M5S, e la via è tortuosa. Soprattutto, ci si dovrebbe intendere sulle cose da disfare prima che su quelle da fare. Salta il taglio dei parlamentari, che però – nel caso non si voti subito – potrà essere ripreso successivamente insieme alla legge elettorale. In generale, l’ostacolo è la difesa acritica da parte di Conte dell’operato del governo, non a caso subito attaccata da Zingaretti.

Il problema di fondo è nei contenuti, con diversità non mediabili.

Una correzione può essere relativamente agevole per qualche punto, come ripulire i decreti sicurezza dalle più evidenti incostituzionalità. Non a caso nella replica il premier sottolinea che l’impianto approvato in Consiglio dei ministri per il decreto bis era diverso dal testo risultante dalla conversione. Ma rimangono tante questioni aperte, dall’appoggio incondizionato dato da Zingaretti al Tav, alle autonomie differenziate.

Voglio sottolineare in specie quest’ultimo tema, che non viene in primo piano nei commenti. M5S, dopo una falsa partenza nel «contratto», ha contrastato il colpo di mano tentato occultando le carte e imbavagliando il parlamento con l’inemendabilità. Il Pd invece ha taciuto e continua a tacere. Il punto è che sull’autonomia differenziata Bonaccini in Emilia-Romagna si è accodato alla Lega. Nella regione si vota a breve, e la Lega potrebbe vincere. Al Nazareno sono di certo terrorizzati all’idea di fare qualsiasi mossa che possa indebolire Bonaccini. Ne verrebbe la messa in accusa del gruppo dirigente nazionale nel caso di sconfitta.

Quindi, silenzio. E chi parla conferma la sostanziale adesione del Pd alla linea separatista del grande Nord. Padoan definisce «giusto che le regioni più efficienti nei servizi pubblici abbiano qualche incentivo in termini di risorse aggiuntive, anche per indurre le altre a fare meglio» (Il Quotidiano del Sud, 20 agosto). È il topos – ampiamente smentito da cifre e analisi – delle regioni virtuose che meritano più risorse. È lo stesso topos che porta il lombardo Fontana a imputare agli oppositori una «lettura sfascista».

Pezzi corposi del Pd hanno investito nel separatismo nordista. Non a caso, parla diversamente un padre nobile come Prodi: le autonomie non possono essere lasciate all’iniziativa di alcune Regioni ma debbono coinvolgere «prima gli italiani»  e necessariamente «tutti gli italiani» come veri protagonisti (Il Messaggero, 18 agosto).

Il Nord è – e probabilmente rimarrà – saldamente in mano alla Lega. Per gli altri la prossima campagna elettorale – che si svolga subito, o nei tempi utili per Renzi o invece per Zingaretti – si vincerà o si perderà nel Sud, dove M5S e Pd dovranno inevitabilmente competere se vogliono puntare a un primato nazionale.
Molto conterà quel che ciascuno avrà fatto, o non fatto, sulle autonomie differenziate. Un accordo di governo di breve o lunga durata qualcosa sul tema dell’autonomia dovrà comunque dire. Potremmo capire se si mettesse tutto sotto il tappeto fino alla chiusura delle urne in Emilia-Romagna. Ma poi vorremmo che si discutesse non del disegno o destino di questo o di quello, ma del futuro della Repubblica una e indivisibile.