Nel Mar Rosso c’è una bomba ambientale pronta a esplodere
Davanti agli occhi La petroliera Sounion, colpita dagli Houthi, ha in pancia 150mila tonnellate di greggio. Greenpeace: «Una simile fuoriuscita di petrolio sarebbe impossibile da contenere»
Davanti agli occhi La petroliera Sounion, colpita dagli Houthi, ha in pancia 150mila tonnellate di greggio. Greenpeace: «Una simile fuoriuscita di petrolio sarebbe impossibile da contenere»
Nel Mar Rosso c’è un bomba a orologeria: dovesse esplodere ci sarebbe un prima e un dopo per l’ecosistema marino, e non solo, di quella parte di mondo. Dall’inizio del massacro israeliano a Gaza i ribelli Houthi, che rappresentano il governo de facto del nord e centro dello Yemen, hanno colpito decine di navi per fare pressione su Tel Aviv e i suoi alleati. Il 21 agosto le milizie spalleggiate dall’Iran hanno centrato la petroliera greca Sounion. Il giorno seguente i 25 membri dell’equipaggio, russi e filippini, sono stati trasferiti a Gibuti da un cacciatorpediniere francese. Nella pancia della nave, però, restano oltre 150mila tonnellate di greggio, circa un milione di barili.
Gli esperti sottolineano che si tratta di un carico tre-quattro volte più grande di quello fuoriuscito dalla Exxon Valdez nello stretto di Prince William, insenatura del golfo dell’Alaska. Correva l’anno 1989 e il disastro causò la devastazione di duemila chilometri di coste e la morte di centinaia di migliaia di animali. L’impatto fu così grave che spinse gli Usa a emanare l’Oil pollution act (Opa) per prevenire e fronteggiare gli sversamenti, aumentando i criteri di sicurezza delle petroliere e attribuendo le spese per la pulizia agli armatori.
Considerata la quantità di materiale inquinante, la situazione geopolitica dell’area, la scarsità di mezzi attrezzati, la conformazione del Mar Rosso, aperto solo a sud dallo stretto di Bab-al Mandab, il danno rischia di essere peggiore di quello di 35 anni fa. «Una fuoriuscita di petrolio di questa portata potrebbe essere virtualmente impossibile da contenere, contaminando vasti tratti di mare e costa – avvisa Julien Jreissati, direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Greenpeace – L’impatto a lungo termine sulla biodiversità marina sarebbe devastante».
Gli Houthi avrebbero assicurato che non interferiranno con le eventuali operazioni di salvataggio della nave, ma i privati inizialmente incaricati dell’intervento si sono dichiarati incapaci di realizzarlo. La situazione è monitorata dai mezzi militari dell’operazione europea Aspides, che contrasta gli attacchi yemeniti, i quali però non hanno capacità per casi di questo tipo.
Ieri il giornale economico greco Naftemporiki ha rivelato che una nave specializzata sarebbe partita dalla penisola ellenica, la Sounion batte la bandiera di Atene, per provare a spegnere gli incendi, sigillare il carico e trainare la nave in porto. Tra Grecia e Arabia Saudita sarebbero in corso colloqui diplomatici, forse per lo scalo di Gedda (che dista poco meno di mille chilometri). Un’altra ipotesi è trasferire almeno parte del petrolio su una seconda nave. Si tratta comunque di operazioni estremamente rischiose.
Sul sito specializzato greenreport, «primo quotidiano online ecologista» registrato in Italia, l’ammiraglio della guardia costiera Aurelio Caligiore, che nella sua trentennale carriera si è occupato di tutela ambientale ed è stato per dieci anni a capo del Reparto ambientale marino delle capitanerie di porto, ha lanciato l’allarme già a inizio settembre. Secondo Caligiore il caso è «straordinario» e non può essere affrontato nel perimetro stabilito dalle convenzioni, ovvero lasciandolo al settore privato.
È invece necessaria una cooperazione con il pubblico che coinvolga l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) e l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (Emsa). «Il momento è grave e se ciascuno si fa scudo delle proprie competenze e fa spallucce dicendo che non gli compete, allora stiamo andando dritto verso una catastrofe ambientale, annunciata con largo anticipo», scrive Caligiore.
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