I ministri degli esteri di Russia, Turchia e Iran si sono riuniti ieri a Teheran con i colleghi di Azerbaigian e Armenia per il secondo vertice del gruppo 3+3. Hanno discusso diverse questioni di cooperazione e sicurezza nella regione, in primo luogo come chiudere definitivamente le ostilità tra azeri e armeni dopo che i primi hanno risolto con le armi la questione del separatismo armeno nella regione del Nagorno Karabakh il mese scorso.

Sullo sfondo degli altri conflitti in corso, si assiste a un confronto tra due formati di negoziati diplomatici: i russi contendono all’Ue e agli Stati uniti la mediazione finale e le conseguenti ricadute in termini d’influenza sui futuri equilibri della regione. Tradizionalmente al fianco di Mosca, l’Armenia cerca ora di schierarsi nel campo occidentale considerandosi tradita dagli alleati che non sono intervenuti contro gli azeri. Di converso questi ultimi, irritati dal sostegno europeo agli avversari, si ritrovano in linea con la Russia.

ALL’INIZIO di ottobre, il presidente azero Aliev si è rifiutato di partecipare al vertice Ue di Granada dove il premier armeno Pashinian lo attendeva per trattare. Da parte sua Pashinian ha disertato una riunione della Csi in cui Putin e Aliev si aspettavano di chiudere la questione. La scorsa settimana, Pashinian ha reiterato al parlamento europeo le sue accuse alla Russia, pur confermando di essere è pronto a concludere un trattato di pace con Baku entro la fine dell’anno.

Il «patto caucasico» 3+3 è nato quale piattaforma multilaterale regionale consultiva per iniziativa della Turchia di Erdogan all’indomani della guerra armeno-azera che aveva scosso gli equilibri del Caucaso così come si erano consolidati in 35 anni d’indipendenza del Karabakh. L’idea ha finora funzionato solo parzialmente. Contrariamente a certe voci della vigilia, il terzo membro del trio sud-caucasico, la Georgia, continua a rifiutarsi di prendere parte ai colloqui 3+3 in opposizione alla Russia (accusata di sostenere i propri separatisti osseti e abkhazi). La riunione di ieri doveva anche rassicurare la parte ospite, l’Iran, che teme di ritrovarsi perdente nella ridefinizione degli assetti regionali. Proprio il presidente Ebrahim Raisi ha moderato l’incontro bilaterale tra i titolari degli esteri armeno Mirzojan e quello azero Bajramov. Assieme alla Russia, l’Iran teme il rafforzamento dell’asse tra Turchia e Azerbaigian.

IERI, TREMILA militari dei due paesi hanno dato il via a esercitazioni congiunte («Mustafa Kemal Ataturk – 2023») con 130 veicoli blindati e fino a 100 pezzi di artiglieria. Le manovre interessano i territori del Karabakh passati sotto il controllo azero così come il Nakhichevan, exclave di Baku posta ad ovest dell’Armenia. Il timore di quest’ultima è che gli azeri, dopo aver causato l’esodo di oltre 100mila residenti armeni del Karabakh, preparino una nuova offensiva per saldare i propri territori e congiungersi alla Turchia. Tale timore alimenta la deriva pro-occidentale dell’Armenia, attivamente incoraggiata dalla Francia.

Sempre ieri il capo della difesa armeno Papikian ha incontrato il suo omologo francese Lecornu per formalizzare l’acquisizione di sistemi d’arma da parte di Parigi. Il tutto è destinato ad alimentare ulteriormente le tensioni diplomatiche franco-azere. La scorsa settimana Baku ha ospitato con grande visibilità mediatica una riunione del «Gruppo di iniziativa contro il colonialismo francese», con rappresentanti della Corsica e di altri territori d’oltremare di Parigi.

Durante l’evento il presidente Aliev ha pronunciato dure critiche contro la Francia, tacciata di «neocolonialismo, violazione dei diritti umani e ingiustizia». In tal modo, l’Azerbaigian si viene a trovare all’unisono con la Russia nell’utilizzo di una narrativa «anticoloniale» che Mosca estende a tutto l’Occidente.