Lo scorso anno l’India ha festeggiato settant’anni di indipendenza dall’ex impero britannico, occasione per stilare un bilancio sommario di quanto raggiunto in sette decenni di esercizio democratico applicato al secondo paese più popoloso del mondo. Molto è stato fatto, coraggiosamente imboccando il sentiero fino a quel momento inesplorato, di governare un territorio – uscito esausto dall’esperienza coloniale e devastato dagli orrori della Partizione – applicando il sistema «meno peggiore» a disposizione: la democrazia parlamentare.

Ma in India, come e forse più che nel resto del subcontinente indiano, l’alternanza democratica sia al governo federale sia, soprattutto, nella classe dirigente del paese, si è scontrata col predominio assoluto vantato dalla dinastia Nehru-Gandhi, capace di decretare direttamente o, talvolta, indirettamente, le sorti dell’India democratica come nessun altro gruppo di potere aveva mai fatto.
Saldamente a capo dell’Indian National Congress (Inc), il principale partito del panorama indiano che guidò il paese verso l’indipendenza, la dinastia Nehru-Gandhi ha espresso ad oggi ben tre primi ministri – Jawaharlal Nehru, sua figlia Indira Gandhi, suo nipote Rajiv Gandhi – cui si aggiunge, con Sonia Gandhi, la de facto «primo ministro ombra» dei due mandati di Manmohan Singh, immediatamente precedenti l’attuale era Modi. E oggi, con Rahul Gandhi elevato a presidente dell’Inc in seguito a «primarie» interne corse in solitaria, la dinastia è in grado di esprimere la quarta generazione consecutiva di leader senza che tale anomalia accentratrice, in un sistema nominalmente democratico, faccia sollevare più di qualche sopracciglio nell’opinione pubblica nazionale.

Come rilevato dalla professoressa Kanchan Chandra della New York University, autrice del volume «Democratic Dynasties: State, Party and Family in Contemporary Indian Politics», se il caso dei Nehru-Gandhi rimane di certo il più eclatante, il resto del panorama politico nazionale è allo stesso modo largamente affetto dalla peculiarità delle cosiddette «dinastie democratiche»: famiglie cui una vasta gamma di partiti indiani garantisce il lusso di una rappresentanza politica perpetua, tramandata di generazione in generazione.
Espressione del sistema castale ancora profondamente radicato nella società indiana contemporanea, ovviamente la maggior parte dei parlamentari «dinastici» – figli di, mogli di, nipoti di… – sono di casta alta e, da questo punto di vista, il carattere dinastico della rappresentanza democratica contribuisce a escludere dagli scranni parlamentari le classi subalterne, in particolare i musulmani e i dalit (impropriamente ancora oggi etichettati in Italia col termine «intoccabili»).

Ma, spiega Chandra in un’intervista rilasciata nel 2016 al quotidiano «The Hindu», «sebbene la politica dinastica abbia, per certi versi, aumentato l’esclusione, ha anche avuto un effetto inclusivo. Ha fornito un canale di rappresentazione a membri di categorie sociali – donne, caste basse, tribali, musulmani e giovani – che attraverso i canali normali in politica non trovano, o non hanno trovato, alcuno spazio».
In una società in cui pregiudizi castali, religiosi e di genere pesano ancora enormemente sul libero giudizio dell’opinione pubblica, solo grazie al dispositivo dinastico chi di norma sarebbe escluso a priori dal sistema riesce ad emergere. Uomini e donne che, assieme alla «circoscrizione di famiglia» ereditano un peso specifico elettorale che i partiti non solo non hanno la minima intenzione di rischiare, ma che tendono anzi ad assecondare, considerandolo parte di uno scambio giudicato equo: tu mi porti voti e rimani leale, io mi impegno a farti rieleggere. Un cane che si morde la coda e che, curiosamente, finisce per cementare ancora di più l’interdipendenza tra dinastie politiche e partiti. Spiega Chandra: «Le dinastie hanno bisogno dei partiti per avere successo in India. Sono incastonate nel sistema partitico e l’una non può vincere senza l’altro. Nelle ultime tre tornate elettorali nazionali (2004, 2009, 2014), nessun deputato «dinastico» presentatosi alle elezioni da indipendente, uscendo dalla struttura del partito, è stato rieletto».

Con l’ascesa di Narendra Modi, capace di conquistare prima il partito conservatore hindu Bharatiya Janata Party (Bjp) e poi il premierato senza vantare alcun legame dinastico, le cose potrebbero però presto cambiare. L’esempio di Modi dimostra come il rinnovamento della classe dirigente al vertice del Partito, infischiandosene del pedigree dinastico, abbia avuto un effetto prodigioso sulla performance del Bjp alle urne: con Modi in prima fila e i suoi uomini nelle posizioni chiave del partito – su tutti, Amit Shah alla presidenza – l’attuale primo ministro è riuscito a convincere la maggior parte degli indiani circa la bontà di un progetto «nuovo», fatto di facce nuove e idee nuove. Che poi le politiche siano le stesse – se non, in termini di intolleranza religiosa, forse peggiori del peggiore Bjp del passato – poco importa: tra il «nuovo» Modi e il «vecchio» Inc sempre in mano ai Gandhi, l’India ha premiato il nuovo.

Con la successione al vertice dell’Inc di Rahul Gandhi, subentrato alla madre Sonia, l’ex primo partito indiano ormai ridotto ai minimi termini – solo 44 seggi alla camera bassa, contro i quasi 300 del Bjp – continua a difendere il proprio dna dinastico: un tratto «indiano» di cui l’Inc sembra non poter fare a meno.
A margine di un discorso pronunciato all’università di Berkeley poco dopo essere stato eletto all’unanimità alla presidenza dell’Inc, a chi gli chiedeva lumi circa l’associazione Congress – politica dinastica, Rahul Gandhi ha risposto: «La maggior parte dei partiti ha questo problema. Akhilesh Yadav è un dinasta. Stalin (figlio di M Karunanidhi, leader del principale partito tamil, ndt) è un dinasta. Addirittura Abhishek Bachchhan (figlio di Amitabh Bachchhan, stella di Bollywood, ndt) è un dinasta. In India funziona così. Quindi non mi perseguitate, perché in India va così. Anche gli Ambani controllano il businness e stesso discorso per Infosys. Questo è quello che succede in India».