Dopo avere constatato di essere finito in un vicolo cieco, per la fretta di arrivare alle elezioni europee di fine maggio con un sussidio chiamato impropriamente «reddito di cittadinanza», ieri il ministro del lavoro Luigi Di Maio ha proposto alle regioni una mediazione: un taglio dei navigator assunti da Anpal Servizi da 6 mila a 4.500 circa. Saranno destinati a rafforzare i centri per l’impiego nelle regioni che ne hanno più bisogno. Il resto delle risorse disponibili andrebbe ai centri per l’impiego con modalità da studiare. Quanto all’Anpal Servizi sono ancora aperti tutti i problemi. I 654 precari non saranno stabilizzati e per questo protesteranno ancora una volta a Montecitorio mercoledì 13 marzo. Insieme ai «navigator» creeranno la terza più grande azienda di Stato con maggioranza di precari: oltre l’80%.

Le regioni, che hanno in mano le politiche attive del lavoro e i centri per l’impiego, sono preoccupate dal rischio caos: «Un esercito di precari entrerebbe nei nostri centri con enormi problemi organizzativi» ha detto ieri alla Camera Cristina Grieco, assessore al lavoro della Toscana e coordinatrice della commissione lavoro della Conferenza delle Regioni.

Le regioni avrebbero accettato l’idea di assumere i «navigator», ritenuti fondamentali per avviare il complicato meccanismo del «reddito», ma la loro assunzione deve avvenire tramite concorso regolare «nella prospettiva di far diventare quel lavoro a tempo indeterminato». In altre parole, non devono esserci migliaia di precari che, alla scadenza del contratto, lo Stato scarica sulle spalle delle regioni che non possono assumerli. Per questo chiedono di sbloccare il turn-over che, al momento, impedisce anche di assumere gli altri 4 mila operatori previsti per i centri per l’impiego. In più serve una legge sulle stabilizzazioni delle migliaia di precari in questi uffici.

Altro capitolo di questa intricata vicenda che sottopone a uno stress considerevole le «competenze concorrenti» dello Stato e delle regioni in materia di lavoro, sono i tempi dei concorsi. Per organizzarne uno servono sei-otto mesi. Tuttavia non è scontato che tutte le regioni interessate possano farlo, rispettando gli stessi tempi. Per le regioni è inoltre necessario evitare la creazione di «una modalità duale per operatori e utenti, una segmentazione ad esempio in operatori per poveri e operatori per disoccupati over 50, che rappresenterebbe una ghettizzazione perché i centri devono erogare servizi universali». Le regioni chiedono al governo un’intesa, e non «un semplice parere», com’è attualmente previsto nel decreto in discussione alla Camera. Precisano inoltre che, se non si vuole cambiare il termine giuridico, almeno si proceda a una «intesa di fatto». La trattativa ha ancora portato a un’intesa. Senza un accordo si andrà diretti alla Corte Costituzionale. Così il «reddito» rischia di finire in una palude.