Al nono padiglione della Fiera di Roma sono arrivati percorrendo il tunnel di vetro cemento sospeso sulle rotaie dove viaggiano i treni tra Fiumicino e Fara Sabina. Trecento metri arrostiti dal sole collegano l’omonima stazioncina all’ingresso Nord dove sorgono gli hangar che ospitano gli ormai rari, ed epici, mega-concorsi pubblici.

I CANDIDATI del primo turno mattutino al misterioso concorso per i «navigator» hanno formato una muraglia umana variopinta tra le otto e le nove e hanno invaso le scale mobili del gate sopraelevato che si vede nella foto in questa pagina, fino al punto di bloccarle. Vestiti curati come all’esame universitario, oppure più casual con gli shorts, magliette colorate e iconiche, le converse ai piedi, l’aria da turisti e il modulo di partecipazione in mano. Altri erano sbarcati a Fiumicino, precipitati dalla stazione Termini. Hanno trascinato i trolley nell’anticamera dello stanzone dove erano schierati, uno accanto all’altro, migliaia di banchetti sorvegliati. Il trolley: simbolo di generazioni precarie transitanti da concorso a concorso, da un’occupazione a un’altra, tutte assorbite in quell’attività contemporanea che è il lavoro di chi cerca un lavoro. E dove una vita è sempre pronta a partire. Può essere contenuta in una valigia a rotelle 40 x 20 cm, le dimensioni permesse per un imbarco gratuito su un low cost da prendere, per poi tornare. E ripartire.

FUORI DALL’HANGAR, sotto un’immensa tettoia di cemento al riparo dal sole cocente, sostavano centinaia di genitori, nonni, e poi mogli o mariti con bambini di pochi mesi nei passeggini. Alcuni erano seduti in cerchio, come nella sala d’attesa di una Asl o delle Poste, su sedie di plastica in attesa che una figlia, un nipote o un fidanzato tornasse indietro dall’antro che li aveva inghiottiti per raccontare a quali, e a quanti, dei 100 quesiti sulla logica, l’informatica, il mercato del lavoro infiorettato con i concetti scioglilingua come soft skills, ovvero le «competenze trasversali» o «morbide» e «flessibili» richieste ai poveri e ai disoccupati per trovare un lavoro, erano riusciti a rispondere.

QUESTA PARTECIPAZIONE familiare, affettiva, comunitaria a uno dei principali riti della precarietà di massa in Italia si è manifestata in molti modi. Nella madre che, al centro della gigantesca hall sostava scrutando i messaggi sul cellulare, mentre sorvegliava una catasta di borse e trolley lasciati dai figli e dai loro amici durante la prova. è un modo per non lasciare isolati i propri amori in una prova che può essere importante e che, di solito, si affronta nell’alienazione più totale in un paese dai mille lavori senza salario né tutele universali e un secolare disincanto prodotto da mille prove superate e da un futuro che si intravvede a fatica.

DALLE BORSE spuntavano i manuali per il concorso, pubblicati per l’occasione, a nutrimento di una fiorente industria editoriale. Tempestive, e singolari, pubblicazioni composte da nozioni di diritto del lavoro, simulazione di quiz, nozioni di psicologia comportamentale e management delle risorse umane. L’unica sintesi di una professione che non esiste, almeno per il momento in Italia, nata confusamente a sostegno del cosiddetto «reddito di cittadinanza» e poi ridimensionata per non aprire un contenzioso costituzionale con le regioni titolari delle politiche dell’occupazione.

UN LAVORO SIMBOLICO: il «navigator» è un precario che dovrà cercare un lavoro per i precari e disoccupati che beneficiano del cosiddetto «reddito di cittadinanza». Il suo precariato durerà due anni di contratto di collaborazione coordinata e continuativa a 1.700 euro, scadenza aprile 2021, con l’agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal). Da luglio questa agenzia, creata dal Jobs Act di Renzi e finita al centro del «reddito di cittadinanza» in salsa grillina, supererà il record mondiale di precariato. Oltre ai 654 precari storici, se ne aggiungeranno altri 2.890. Nei prossimi due anni i vincitori del concorsone dovranno imparare un lavoro a metà tra il manager delle risorse umane e lo psicologo del lavoro, orientando i poveri ritenuti abili al lavoro a orientarsi nel mare della precarietà.

LUNGHE FILE AL BAR, e le soste preoccupate tra un vocale su WhatsApp e un’ultima occhiata al quiz sui dettagli del sussidio della Naspi. Erano in pochi a sapere nel dettaglio in cosa, davvero, consisterà il lavoro del «navigator». E le risposte erano, in realtà, molto precise. «Coadiuvare i beneficiari del reddito di cittadinanza» ci ha detto Paolo, appena laureato in giurisprudenza al suo primo concorso. «Accompagnare i disoccupati lungo la strada che porta a un lavoro», ha risposto Francesca, psicologa. «Secondo me non lo sanno neanche loro cosa dovrà fare». Un’idea ce l’hanno all’Anpal ma è talmente ampia rispetto alle maglie disciplinari e a quelle professionali, che persino agli esperti continuerà a sfuggire anche quando, di corsa, inizierà la formazione on the job.

A CONTRATTO scaduto, cosa pensi di fare? Ho esitato a lungo a fare la domanda più difficile in quest’aria soffocante. Ma ho trovato, più volte, un’insospettabile serenità, e ironia, entrambe riflesso del disincanto precario: «Chiederò il reddito di cittadinanza». Oggi non puoi chiederlo? «Non posso – ha risposto Sabrina, da Bari – perché sono disoccupata, a carico dei miei genitori, che hanno un reddito Isee più alto. Questo reddito non è pensato per i giovani e per i precari. Lavorando per due anni, magari lo posso ottenere». È all’opera l’intelligenza precaria: bisogna usare gli strumenti a disposizione per resistere alla proletarizzazione.

PALERMITANA di 28 anni, Alessandra racconta la dimensione ulteriore, e liminale, del precariato diffuso. È laureata in psicologia, come tantissimi altri candidati ( 12.080 su oltre 53 mila). Sta facendo la specializzazione, dice di lavorare e aspetta il prossimo concorso all’Inps. «Quello è fatto per me – dice – Questo lo faccio perché c’è, ma io voglio fare qualcosa d’ altro». Sfoglia il manuale del «navigator» e racconta che Massimo, il suo fidanzato, è appena entrato all’esame. «Lui fa l’assicuratore, è a tempo determinato, vuole provare a cambiare vita». Anche il precariato di Stato, assicurato dal governo Lega-Cinque Stelle, può nascondere la promessa di una vita diversa. È quella che ha seguito Cesare, operatore turistico di 49 anni, marchigiano. Con lui abbiamo scoperto che, anche in questo mondo, è possibile nutrire un sogno. Cesare è laureato in psicologia, anche lui, del lavoro. Per anni ha lavorato in comunità per stranieri e si occupava del loro inserimento al lavoro. Poi il cambio, le avversità, l’intermittenza dei lavori che ti portano lontano dalle vere passioni. Però non ha dimenticato. Oggi Apprezza che sia stato fatto un bando pubblico che contempla la sua professione, anche se non erano molti i quesiti sulla sua materia. «Preferisco tornare a fare quello per cui ho studiato».

LA RICERCA DI UN «LAVORO» non è cieca, anche se spesso assume caratteri compulsivi, e disperati. Dietro persiste un desiderio di emancipazione. «Non voglio fare la fine che hanno previsto per almeno un terzo dei giovani italiani – racconta Tommaso, fiorentino in servizio civile e con una laurea in psicologia – Tenerci a casa, sottomessi, in silenzio». E nel caso in cui non passassi la selezione? «Mi inventerò qualcosa. Si fanno sempre troppe cose, non si pensa mai a un domani».

 

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La lettera dei precari storici dell’Anpal Servizi agli aspiranti Navigator: “Dalla precarietà senza diritti ci si salva solo uniti”