Il 5 agosto nel 2011. Il 23 settembre nel 2001. L’11 ottobre nel 1991. Il 12 novembre nel 1981. Il 21 dicembre nel 1971, primo anno in cui è stato calcolato. Dalla sua introduzione la data dell’Earth Over Shoot Day non ha fatto altro che arretrare, con la sola eccezione dell’annus horribilis 2020, quando il giorno in cui a livello mondiale abbiamo esaurito le risorse disponibili per l’anno in corso è risultato essere il 22 agosto.

CI ABBIAMO MESSO poco a compiere un balzo di quasi un mese, arrivando al 29 luglio, la stessa data del 2019. Ogni anno quindi l’asticella che segna il limite che la natura ci impone e che, non più del tutto impunemente, superiamo, si alza. Il rallentamento di questa corsa sfrenata conseguente alle restrizioni imposte dalla pandemia se a qualcosa è servito è stato nella diminuzione seppur temporanea della nostra pressione sul pianeta, evidentemente determinata non solo dalle dimensioni sempre più elevate della popolazione umana sulla terra, ma dai modi e l’entità con cui queste persone, o meglio una parte di esse, quelle che abitano i luoghi più «sviluppati» , si muovono, si alimentano, si vestono, scambiano cose.

A QUANTO CORRISPONDE questo consumo vorace? Secondo il Wwf stiamo consumando i servizi ecologici di 1,6 pianeti all’anno, cifra che dovrebbe salire fino a due pianeti entro il 2030, in base alle tendenze attuali.

PER SERVIZI ECOLOGICI il Global Footprint Network, l’organizzazione di ricerca internazionale che ha elaborato il concetto di impronta ecologica, tra gli indicatori più completi ad oggi disponibili per la contabilità delle risorse biologiche, intende le scorte di risorse ecologiche e la capacità di immagazzinare rifiuti: quindi sorpassiamo il limite perché consumiamo troppo e anche produciamo troppi scarti. L’Earth Overshoot Day viene calcolato dividendo la biocapacità del pianeta (la quantità di risorse ecologiche che la Terra è in grado di generare quell’anno), per l’Impronta ecologica dell’umanità (la domanda dell’umanità per quell’anno) e moltiplicando per 365, il numero di giorni in un anno. Nello specifico del 2021 sono state valutate le variazioni delle emissioni di carbonio e della biocapacità forestale dal 1° gennaio.

IL TEAM DI RICERCA NE ha tratto un aumento del 6,6% dell’impronta ecologica globale rispetto al 2020. Il calcolo per l’impronta di carbonio si è basato sui dati delle emissioni di CO2 diffusi dallo Iea (Agenzia internazionale per l’energia) e sui dati del sequestro di carbonio negli oceani a cura del Global Carbon Project. Le cifre mostrano come gli stop indotti dalla pandemia globale hanno inizialmente causato un forte calo delle emissioni di CO2 nel 2020. Tuttavia, le emissioni sono aumentate nuovamente durante la seconda metà del 2020. Alla fine dell’anno, le emissioni totali risultavano inferiori del 5,8% rispetto alle emissioni del 2019 a causa della pandemia globale; ma nel 2021 sono poi aumentate del 6,6% rispetto all’anno precedente. Il secondo cambiamento degno di nota è stato l’effetto della deforestazione e del degrado dell’Amazzonia sulla biocapacità forestale globale, che secondo le stime è diminuita dello 0,5%.

IL 29 LUGLIO RISULTA COME valore medio planetario, in realtà i Paesi industrializzati hanno raggiunto questo risultato già da parecchio: il record quest’anno lo detiene il Qatar, che ha «festeggiato» il suo Overshoot Day il 9 febbraio; dopo circa un mese, il 9 marzo, arrivano gli Stati Uniti, assieme al Canada e al Kuwait, e pochi giorni dopo, il 22 marzo, l’Australia. I paesi europei stanno tutti fra aprile e maggio: l’Italia, ad esempio, vede cadere il suo Overshoot Day già nel mese di maggio. Se il giorno in cui a livello mondiale cominciamo a consumare le risorse dell’anno successivo cade ancora nel secondo semestre lo dobbiamo ai paesi sud americani e africani, per la maggior parte dei quali la data slitta in autunno. Manco a dirsi, l’eccesso di consumo delle risorse naturali, è un altro indicatore dell’enorme sperequazione a danno dei Paesi poveri.

NEL FRATTEMPO SI moltiplicano i vertici internazionali: appena concluso il G20 sull’ambiente e il pre-vertice sui sistemi alimentari; tra 100 giorni i rappresentanti dei governi nazionali si riuniranno in quello che è stato considerato il summit delle ultime possibilità per un’azione globale contro il cambiamento climatico: la Cop26 a Glasgow mentre prima in ottobre avremo a Kunming in Cina la Cop15 sulla biodiversità: un susseguirsi di appuntamenti che se da una parte indica un cambiamento di passo nelle agende internazionali che ornai vedono le problematiche ambientali fra i primi punti della lista, ma che dall’altra il più delle volte partoriscono topolini, tra obbiettivi ambiziosi che non saranno raggiunti, accordi faticosamente allargati che basta un nulla per non rispettare, date e scadenze che vengono posticipate.

CIÒ NON TOGLIE CHE DAI singoli alle collettività è necessario aumentare la consapevolezza del problema e fare ognuno il proprio pezzo: Il Global Footprint Network a questo proposito, assieme all’Agenzia per la Protezione Ambientale scozzese, hanno presentato oggi la campagna «100 Days of Possibility», un elenco delle soluzioni collaudate e scalabili che possono essere adottate a livello di comunità o individualmente per avere un impatto significativo sul tipo di futuro in cui investiamo: ad esempio ridurre l’impronta di carbonio del 50% sposterebbe la data di più di 90 giorni.