L’attesissimo discorso del capo di Hezbollah Hassan Nasrallah è arrivato in un clima generale di sospensione in Libano. Da giorni non si parlava d’altro. Un’entrata ancora più netta nel conflitto da parte del Partito di Dio avrebbe significato già da ieri un allargamento ufficiale della guerra tra Hamas e Israele alla regione, partendo proprio dal Libano. Non c’è stato l’annuncio dell’escalation temuta, ma nemmeno è stata esclusa: «Tutte le opzioni sono aperte e prese in considerazione. E possiamo ricorrervi in qualunque momento».

IL PRIMO INTERVENTO pubblico del leader dal 7 ottobre ha catalizzato l’attenzione nazionale e internazionale alle tre di pomeriggio di ieri. Acclamato da centinaia di persone riunite davanti ai maxi schermi nelle piazze dei quartieri sciiti della capitale e nelle zone del paese roccaforti del partito, Nasrallah ha articolato il suo lungo discorso in tre punti: ringraziamento dei 57 combattenti/martiri caduti finora, esclusione di un coinvolgimento diretto nell’attacco del 7 ottobre e il posizionamento attuale di Hezbollah – e quindi del Libano – nel conflitto.

Retorica anti-americana e anti-sionista, ha rivendicato la funzione strategica del partito, ma anche quella di Hamas e dei vari gruppi armati, di resistenza nella regione all’egemonia israelo/americana, ricordando tra l’altro i fallimenti americani in Afghanistan, Iraq, nello stesso Libano, o quello israeliano della guerra del 2006. «Questa guerra ha dimostrato che Israele è più vulnerabile della tela di un ragno (…) e che sta crollando psicologicamente», ha attaccato.

POLARIZZANDO COSÌ IL DISCORSO, ha esaltato l’unità dell’«Asse della Resistenza» formato da Iran/Hezbollah/Hamas e dai vari gruppi filo-iraniani nella regione come gli Houthi in Yemen, ponendosi de-facto come portavoce dell’asse. Ha inoltre invitato i paesi arabi a boicottare Israele non facendoci più accordi commerciali, un chiaro riferimento al processo di normalizzazione avviato negli ultimi anni tra Israele e questi ultimi.
«Alcuni dicono che l’operazione sarebbe servita per obiettivi iraniani nella regione o per le negoziazioni sul nucleare, ma non sono che menzogne. L’operazione Diluvio di al-Aqsa è interamente palestinese, per la Palestina, la sua causa, il suo popolo e non è legata a nessun dossier regionale. (…) È un’operazione al 100% palestinese. La segretezza dell’operazione ne ha garantito la riuscita attraverso l’elemento sorpresa» ha rimarcato Nasrallah nel secondo punto.

Una presa di posizione che, al di là della sua veridicità o meno – parte delle milizie di Hamas si è addestrata in Libano nelle basi di Hezbollah – offre un dato politico importante, ovvero uno smarcamento netto sia del partito che dell’Iran dall’operazione del 7 ottobre, che ha in ogni caso esaltato.

Hassan Nasrallah
L’operazione Diluvio di al-Aqsa è palestinese al 100% e non è legata a nessun dossier regionale. (…) La segretezza ne ha garantito la riuscita

Nel terzo e ultimo punto ha chiarito che il senso dell’operazione sul confine meridionale è quello di «attirare parte dell’esercito israeliano: un terzo delle Israeli Defence Forces è impegnato al confine, come un quarto dell’aviazione, mentre metà flotta navale è davanti Haifa». Poi ha spostato il pallino nelle mani di Netanyahu dicendo che «il comportamento di Hezbollah dipenderà da quello di Israele» verso il Libano e Gaza.

IL PRIMO IN LIBANO a formulare una risposta al discorso è stato Samy Gemayel, capo del Kataeb (destra cristiana di ispirazione fascista): «Oggi è divenuto ancora più chiaro che il Libano ufficiale non esiste più e che la volontà del popolo non ha importanza, come le opinioni delle istituzioni legittime. La decisione è nelle mani di Nasrallah». Sulla stessa linea l’altro partito di destra cristiana, nato come costola del Kataeb, di cui però non sempre condivide le posizioni. Jumblatt, leader socialista druso, ha appoggiato invece il numero uno di Hezbollah: «Ha ragione di far assumere agli Usa la responsabilità di un cessate il fuoco».

Il paese vive una forte lotta politica interna che lo paralizza da oltre un anno. Il sistema di potere multicentrico, distribuito attraverso un sistema clientelare e dei partiti a gestione familiare, ha ancora un governo ad interim, nonostante le elezioni del 15 maggio 2022, e un vuoto di potere a causa del fine mandato del presidente Aoun (alleato di Hezbollah). Trovare un nome che riesca in qualche modo a garantire proporzionalmente gli interessi di ciascuno è un’impresa ardua, nonostante in palio ci siano gli 11 miliardi di dollari (solo tre sono già arrivati) già stanziati dal Fondo monetario internazionale e fermi in attesa di uno sblocco politico, che darebbero ossigeno a un paese devastato da quattro anni della più violenta crisi economico-finanziaria della sua storia.

NETANYAHU ha però già categoricamente escluso un cessate il fuoco e ha messo in guardia Hezbollah che «pagherebbe un prezzo inimmaginabile se dovesse attaccare Israele» intendendo un diverso posizionamento del partito nel conflitto, anche perché è impossibile non chiamare quella al confine guerra. Accuse e minacce da entrambi i lati in un equilibrio precario, instabile, che rischia di crollare da un momento all’altro.