«Un popolo in cammino per la giustizia sociale contro le camorre» era scritto sullo striscione che apriva la manifestazione organizzata ieri a Napoli dalle parrocchie della Sanità, di Forcella e dei quartieri della periferia partenopea. Tra le tremila persone scese in strada c’erano tanti studenti, tra di loro il gruppo dell’associazione «Tutti a scuola» che si batte per assicurare il diritto alla studio dei ragazzi disabili.

C’erano realtà di movimento, rappresentanti della Cgil e della Fiom, politici in ordine sparso (presenti quando la campagna elettorale lo richiede): senza simboli, però, perché ieri in corteo c’era il popolo. «Vogliamo vedere in strada la Napoli “per bene” – dichiara padre Alex Zanotelli – quella spesso indifferente alla Napoli “per male”, siamo una società sola e dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri. Quello che succede alla Sanità o a Forcella riguarda tutti».

Nel fiume di partecipanti, ragazzini con le magliette di altri ragazzini, poco più grandi, uccisi dalla camorra come effetti collaterali della guerra per la supremazia nello spaccio, suore domenicane e salesiane, l’imam Abdullah Cozzolino, i precari del progetto Bros, tutti insieme fino a piazza Plebiscito sulle note della colonna sonora dei Modena City Ramblers del film I cento passi.

Volti di gente normale, quella che viene accusata di essere a favore dei clan, di essere geneticamente predisposta a delinquere, di non avere il coraggio di prendere posizione. Nei giorni scorsi si sono riuniti per stilare un documento: scuola, sicurezza e lavoro, i tre punti fondamentali su cui aspettano una risposta dal governo.

«Abbiamo scelto di parlare di camorre e non di camorra, perché sono tante a Napoli – è scritto nel testo -. Stanno nell’intreccio tra camorra, politica corrotta e imprenditoria collusa, tengono in scacco la nostra città frenandone lo sviluppo economico, strozzandone le prospettive di crescita e avvelenando le nostre terre. Alla nostra città non servono interventi spot, serve un piano strutturale di recupero nei quartieri, servono massicci investimenti per le politiche sociali e uno studio approfondito sulla situazione del disagio minorile».

Una bomba sociale, così defiscono la situazione a Napoli: «Le ultime generazioni di ragazzini, gli stessi che non frequentano le scuole e passano le giornate abbandonati per le strade, rischiano di diventare una vera e propria “riserva” per i clan che offrono forme di guadagno facile e immediato, rispetto a una città che non offre prospettive lavorative a più del 50% dei suoi giovani. Le prospettive, al di fuori del lavoro precario o nero, sono quasi inesistenti». Chiedono più sicurezza e controllo del territorio, due misure che da sole però non servono, senza un piano di investimenti per la crescita dell’occupazione a partire da bonifiche ambientali e rigenerazione urbana, accanto a misure di contrasto alle povertà.

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In piazza Dante, dove il corteo si è formato, c’erano i banchetti della campagna regionale per il reddito minimo garantito. Chiedono anche scuole aperte tutto il giorno e fondi per il diritto allo studio: dopo oltre dieci anni di governi di vari colori che hanno cancellato il tempo pieno al Sud, per continuare a sostenerlo al Centro-nord, gli effetti sono adesso evidenti a tutti e uno studente napoletano su quattro evade l’obbligo scolastico.

Il documento è stato consegnato al prefetto da Giovanni Catena, il 29enne ferito per errore il 14 novembre da un proiettile vagante durante un agguato in piazza Sanità. Il raid scattò per uccidere il boss Piero Esposito, Giovanni, che nel week end lavora nel pub in piazza, era uscito a gettare la spazzatura e venne colpito. Nella stessa piazza all’alba del sei settembre venne ucciso il diciassettenne Genny Cesarano. I killer spararono a un gruppo di ragazzi, un colpo ferì Genny al torace. «Noi cittadini siamo soli e dobbiamo combattere – ha raccontato Giovanni Catena -. Potevo fare la fine del mio amico Genny, invece per fortuna sono ancora qui e quello che voglio chiedere è lavoro. Per noi non c’è nulla, solo mille lavoretti per cercare di far campare la famiglia». Alla manifestazione c’era anche la mamma di Ciro Esposito, il ragazzo morto dopo essere stato ferito da Daniele De Santis, prima della finale di Coppa Italia del 2014.

«Il fatto nuovo di questa manifestazione è l’amicizia sociale che si è creata tra realtà diverse – racconta il parroco della Sanità, don Antonio Loffredo -. Il corteo non riguarda specificamente Genny Cesarano anche se, naturalmente, si attende che i responsabili siano assicurati alla giustizia. Ma è sintetizzata dalle richieste che rivolgiamo al governo su lavoro, scuola e sicurezza. Sulle nostre proposte in tema di lavoro serviranno tavoli di approfondimento, per intervenire su questi problemi occorre l’impegno del governo».

Uno degli striscioni più grandi era dedicato al diciassettenne ucciso a settembre: «Verità e giustizia per Genny e per tutte le vittime innocenti». Il padre, presente al corteo, ha sottolineato: «Diciamo basta alla mattanza, andiamo nelle scuole a parlare con i nostri bambini, quello che vogliamo è giustizia sociale». Polemico con l’esecutivo il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, intervenuto alla manifestazione: «Il governo non fa nulla, e con il poco che fa ci mette solo in difficoltà. Il futuro ce lo costruiamo da soli ed è nelle nostre mani, se qualcuno pensa che la capitale morale del paese sia altrove dico che Napoli sta scrivendo pagine serie».