I check-point da Odessa a Mykolaiv scorrono lentissimi. Oltre ai documenti, i militari controllano i portabagagli e, in alcuni casi ispezionano anche le borse, i portaoggetti e persino gli spazi sotto i sedili dei furgoni.

Senza contare che dopo 22 giorni di guerra gli ucraini sono stufi delle code e si infilano in qualsiasi centimetro disponibile sulla carreggiata provocando cori interminabili di clacson. L’ultimo check-point, quello sul ponte, è il più lento e al nostro autista hanno chiesto addirittura la licenza per passare.

D’altronde Denys Monastyrsky, il ministro degli interni ucraino, l’aveva detto stamattina: «i sabotatori russi sono quasi dovunque nel Paese, anche nelle regioni occidentali».

Il che era comunque meno preoccupante del comunicato del Centro per il contrasto alla disinformazione della Difesa: «i sabotatori potrebbero entrare in Ucraina travestiti da giornalisti». Per fortuna questi giornalisti infiltrati russi avrebbero l’accredito delle testate russe, così almeno non si crea troppa confusione.

SE A ODESSA ciò che colpisce l’occhio è il bianco dei sacchi di sabbia, a Mykolaiv è il nero dei copertoni. Sono dovunque, davanti ai posti di blocco, in mezzo alle strade, a difesa degli incroci e degli edifici.

A volte sono pieni di cemento o terra, in altri casi sono solo ammassati alla rinfusa e tenuti insieme dal fil di ferro o da pali di legno. Stando a quanto racconta Ivàn, il centro di Mykolaiv ha già iniziato a subire bombardamenti ma gli attacchi più pesanti sono stati nelle periferie.

Ci tiene a mostrarci dove vive lui, in una zona a sud del porto a non molta distanza da Kherson (da qualche giorno in mano russa). Alcune vie intorno a casa sua sono un cimitero di macerie e rottami di auto e mezzi vari, pezzi di intonaco rimasti attaccati al soffitto che dondolano al vento, tetti sfondati e crateri.

Recuperiamo il fratello minore di Ivàn, che si presenta con una grossa valigia e ritorniamo verso il centro. A più riprese si sentono grandi boati ed è difficile dire di cosa si tratti o di chi.

Un ordigno nei giorni scorsi ha colpito un deposito agricolo e dalle lamiere divelte fuoriesce una cascata di cipolle che una vecchietta con il capo coperto da un fazzoletto raccoglie dentro un cesto di vimini. Proviamo a scendere ma i militari del vicino posto di blocco si avvicinano subito per chiedere cosa cerchiamo e Ivàn, per evitare problemi, ci fa segno di tornare in macchina.

Su una delle direttrici principali che tagliano il centro c’è un intero palazzo con i vetri scoppiati e la facciata deturpata dai bombardamenti. A terra l’asfalto è pieno di crateri di piccola taglia e di detriti. A poca distanza qualche giorno fa si era parlato del ritrovamento di bombe a grappolo inesplose e dei frammenti lanciati da queste ultime.

Come ormai è risaputo, l’uso di questi ordigni contro i civili è considerato crimine di guerra e ci sono varie risoluzioni delle Nazioni Unite che ne chiedono la dismissione. Il motivo è che questo tipo di bomba ha un effetto trascurabile sui mezzi e sugli edifici ma devastante sugli uomini.

Immaginate un involucro di metallo cilindrico dotato di un piccolo paracadute che scende abbastanza lentamente ed è concepito per esplodere prima di toccare il suolo liberando una miriade di frammenti di metallo o altri materiali che per la detonazione diventano incandescenti e schizzano in tutte le direzioni.

Ad altezza d’uomo, lo ribadiamo. I corpi dei caduti dopo un attacco di questo tipo sono straziati, mutilati, lacerati. E chi sopravvive si ritrova spesso con placche di metallo fuse alla pelle che vanno asportate chirurgicamente.

È uno spettacolo macabro e in molti se ne ricorderanno per le immagini che vennero diffuse all’epoca del conflitto nei Balcani in cui, stando a molte testimonianze e a diverse interrogazioni al Parlamento Europeo, fu la stessa Nato ad utilizzare quest’arma infame. Anche per questo oggi è formalmente vietata e la maggior parte dei Paesi della Terra (tra i quali non figurano Russia e Cina, ad esempio) ha firmato una risoluzione contro il suo impiego.

ORA, IL 3 MARZO il sindaco di Pokrovsk, a nord-ovest di Donetsk, aveva denunciato l’uso di bombe a grappolo da parte delle forze russe, ma il Cremlino aveva subito smentito. Una settimana dopo il portavoce dell’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’Onu aveva affermato di aver ricevuto «relazioni credibili nelle quali si attesta l’uso di bombe a grappolo da parte delle forze russe in diverse occasioni, anche nelle aree abitate».

E proprio da Mykolaiv erano arrivate le prime testimonianze dei giornalisti che ne filmavano i frammenti vicino alle zone colpite dai bombardamenti. Da quando gli attacchi russi sono aumentati di intensità sembra che si sia tornati ad ordigni “ordinari”, ma la preoccupazione resta alta.

A proposito di bombardamenti, è stata purtroppo confermata la notizia che i due pompieri intervenuti a sedare gli incendi generati dall’attacco di ieri notte nel distretto Sviatoshynskyi di Kiev sono morti in seguito alle ferite riportate in servizio.

SEMPRE NEL CONTESTO della battaglia per la conquista della capitale, stando a quanto dichiarato dalla polizia dell’oblast di Kiev, i bombardamenti russi sul villaggio di Novi Petrivtsi hanno lasciato sul campo 4 feriti e un bambino di 2 anni morto.

L’attacco ha quasi distrutto una palazzina e danneggiato diverse case nelle vicinanze, per questo ci si aspetta anche che il computo delle vittime sia più alto. Nel distretto di Darnytskiy, a sud-est della capitale, l’abbattimento di un missile da parte della contraerea ucraina ha provocato il distacco di un frammento che ha colpito il sedicesimo piano di un palazzo residenziale provocando un incendio. Per ora si contano almeno un morto e tre feriti.

MA ANCHE OGGI è stata Mariupol la città più colpita, secondo un dato diffuso dall’amministrazione comunale, ogni giorno cadrebbero sulla città tra le 50 e le 100 bombe. Anche senza la cifra esatta, era già chiaro che Mariupol fosse l’epicentro di questo disastro umanitario che più di tre settimane peggiora esponenzialmente.

Dal 2 marzo la città è senza acqua, gas, elettricità, linee telefoniche, cibo e medicine e la notizia di ieri dell’attacco al teatro che ospitava i rifugiati non ha fatto che aggravare un quadro già tragico.

Tuttavia, i combattimenti non sono cessati e proprio oggi (anche se non abbiamo modo di verificare la data delle immagini) è stato diffuso un video girato da un drone che attacca e distrugge un carrarmato di Mosca in fuga.

Nel frattempo continuano i combattimenti a Kharkiv e in Donbass e tutti si chiedono quanto durerà ancora questo scempio.