Dopo appena sette mesi di Palazzo, il centrodestra che ha vinto le elezioni in Sicilia è già in crisi profonda. A parte qualche bando europeo per lo più ereditato dalla precedente giunta e le tradizionali visite istituzionali, il bilancio per il governo Musumeci è davvero deludente: le riforme promesse non sono mai partite, la maggioranza è sempre più litigiosa e il Parlamento è impantanato nella rissosità d’aula.

Uno stallo senza precedenti mentre l’isola boccheggia tra rifiuti, autostrade colabrodo, incendi, disoccupazione in aumento, indici di povertà alle stelle e questioni irrisolte come la voragine finanziaria di decine di enti pubblici e società partecipate di cui l’azionista Regione non conosce conti e bilanci. Non bastasse, per il vice governatore Gaetano Armao si sospetta un conflitto d’interessi: da assessore all’Economia controlla Riscossione Spa, la società pubblica che riscuote i tributi nell’isola, e verso la quale ha un debito di 310 mila euro, in parte rateizzato. E nei giorni scorsi il Cda della Spa s’è dimesso in massa denunciando l’impossibilità di proseguire causa crisi finanziaria. Un clima non idilliaco per Musumeci.

Legge di stabilità a parte, approvata per il rotto della cuffia a fine aprile, il governo fino a oggi non ha prodotto alcun disegno di legge che affronti almeno una sola delle grandi emergenze dell’isola. Quelli depositati sono quasi tutti d’iniziativa parlamentare e comunque poca roba, se non testi-spot. Dalla finanziaria in poi l’Ars si è riunita solo otto volte. Un bottino magro: sette leggi da gennaio a oggi e nessuna così fondamentale da passare agli annali: variazione di denominazione dei comuni termali (impugnata dal Cdm), la rettifica dei confini fra i comuni di Grammichele e Mineo, l’istituzione della commissione Antimafia (prassi a inizio di ogni legislatura), la proroga dell’esercizio provvisorio, il rendiconto per il 2016, una leggina transitoria sulle ex Province e la legge di stabilità. Dividendo la posta semestrale di 69,5 milioni stanziata nel bilancio interno dell’Ars per il numero di leggi approvate il risultato fa 9,9 milioni: tanto è costato il passo da lumaca dell’attività nell’aula di Palazzo dei Normanni.

E così non passa giorno senza che Miccichè rimbrotti Musumeci per la lentezza del governo. Musumeci, a sua volta, scarica l’impasse sul Parlamento. Tutto comunque rimane fermo: persino sulle nomine di sottogoverno, con decine di poltrone in ballo, il centrodestra non riesce a mettersi d’accordo. La goccia che ha esasperato gli animi è stato il blitz dei falchi di Forza Italia che, facendo il gioco delle opposizioni, hanno contribuito a rispedire in commissione Bilancio il collegato alla finanziaria, un testo che conteneva alcune norme care a Musumeci, andato su tutte le furie. Snobbando l’Ars, il governatore in un video su Fb minaccia la coalizione di dimettersi se il Parlamento non porterà avanti le riforme. Quali, non si capisce.

Va all’attacco il M5S. «Mai ci saremmo immaginati che in così pochi mesi saremmo arrivati a un bivio – dice il vice capogruppo dei grillini Francesco Cappello -. Siamo nel pieno di una crisi di governo». Ma proprio sul M5S si addensano i sospetti di Fi. Il partito di Berlusconi teme che Musumeci stia pensando a un ribaltone, alleandosi con i grillini nell’ottica di una strategia più complessiva che coinvolga la Lega, aprendo così un canale privilegiato con Roma senza la presenza ingombrante degli azzurri. Si vedrà. Forza Italia però non intende mollare la presa. E manda segnali distensivi a Musumeci, che ieri ha ricevuto minacce di morte in un post pubblicato sulla pagina Fb di Valentina Zafarana, capogruppo di M5S all’Ars, che ha cancellato gli insulti, dando solidarietà al governatore.