Stefano Musolino, segretario di Magistratura Democratica, il vostro congresso arriva in un momento in cui si susseguono riforme della giustizia, tra prescrizione, intercettazioni e annunci di altre misure ancora…
Viviamo una stagione in cui si insegue un’urgenza continua costruita da un circuito mediatico che lavora sulle emozioni della folla, e questo non può che generare una molteplicità di provvedimenti. Di fatto si continuano a riformare riforme precedenti, mentre il diritto avrebbe bisogno di periodi di sedimentazione per verificare il funzionamento delle decisioni prese. Purtroppo non c’è mai il tempo per farlo. Non sembra esserci alcuna logica a guidare il legislatore.

Cosa ne pensa del cosiddetto premierato, cioè di quanto Giorgia Meloni ha definito «la madre di tutte le riforme»?
C’è preoccupazione e non solo per gli aspetti istituzionali della cosa, ma soprattutto dalla prospettiva dei diritti. Ricordiamoci che questa riforma verrebbe accompagnata da quella dell’ordinamento giudiziario, con la separazione delle carriere, la questione dei laici al Csm, il sostanziale annullamento dell’obbligatorietà dell’azione penale… Significa che esiste una voglia di rompere gli equilibri istituzionali, una spinta verso un sistema con un decisore unico.

Nella sua relazione congressuale lei fa una dura critica di quello che definisce «il magistrato burocrate». Non teme però che questo possa dare luogo ad accuse di politicizzazione della magistratura?
Bisogna premettere che un magistrato quando fa le sue scelte si ispira sempre ai valori della Costituzione e dei trattati internazionale. Il magistrato che non interpreta le norme in questo contesto, evidentemente, non fa bene il suo lavoro. Schiacciarsi sull’efficientismo è un errore grave: chi coltiva più la propria carriera che le persone che vogliono ottenere giustizia, coltiva in realtà un’idea contraria alla Costituzione. Voglio citare una frase famosa di Piero Calamandrei, che diceva che «la Costituzione è una polemica contro il presente». Penso che un magistrato debba agire in quest’ottica. Quando arriva una maggioranza che vuole mettere in crisi i diritti fondamentali, la magistratura ha il preciso compito di difenderli comunque.

Prima citava la separazione delle carriere. È un tema che appare molto caro alla destra che ci governa.
In realtà tutta la riforma prospettata è un attacco all’autonomia e all’indipendenza della magistratura e questo va ben al di là della separazione delle carriere. Che comunque è sbagliata: quello che è successo a Milano è un sintomo evidente di quello che rischiamo (la vicenda della procura che aveva chiesto 153 misure cautelari per mafia, ma il gip ne ha concesse solo 11 negando l’esistenza di una maxi-cupola che coinvolgerebbe insieme camorra, ’ndrangheta e cosa nostra, ndr). Il pm in alcuni casi non è indifferente al risultato della sua inchiesta e quindi risulta poco attento alla ricerca della verità, schiacciandosi su una prospettiva di polizia giudiziaria, cioè sulla repressione pura e semplice. Insomma, il pm non dovrebbe necessariamente mirare alle condanne, può accadere di indagare e di non chiederne.

A proposito invece di correnti della magistratura: dopo la rottura dell’anno scorso, quali rapporti pensate di avere in futuro con Area democratica per la giustizia?
Dipende da loro. La separazione da Area è avvenuta perché noi di Md volevamo recuperare un approccio più radicale. Diciamo che loro hanno una visione più maggioritaria e più inclusiva della nostra. È del tutto legittimo, ovvio, ma noi vogliamo avere una voce diversa. Area è un po’ di lotta e un po’ di governo: battibecca in continuazione con la destra, cioè con Magistratura indipendente, poi però ci governa insieme nell’Anm. Chiaramente il dialogo con loro è sempre possibile, ma devono riconoscere Md come soggetto che sta nell’associazionismo giudiziario e non come una concorrenza alla quale togliere spazi. Rappresentiamo sensibilità diverse, ma possiamo trovare sinergie nel riconoscimento delle nostre rispettive identità.