«Per riabilitare il nome della nostra piattaforma in fatto di antisemitismo sembra che non avremo altra scelta se non quella di fare causa alla Anti Defamation League (la Lega anti diffamazione, ndr) … che ironia!». L’autonominato assolutista della libertà di parola, Elon Musk, colpisce ancora: con questo tweet annuncia la sua intenzione di trascinare in tribunale l’associazione che monitora e combatte l’antisemitismo negli Stati uniti. Colpevole, a detta sua, di fare campagna contro X – l’ex Twitter, diventato di sua proprietà a ottobre dell’anno scorso per la modica cifra di 44 miliardi di dollari – con gli inserzionisti: «Fin dall’acquisto, la Adl ha cercato di uccidere questa piattaforma accusando falsamente lei e me di essere antisemiti».

TUTTO È COMINCIATO lunedì pomeriggio, quando degli utenti di X hanno chiesto a Musk spiegazioni sul suo ultimo misterioso tweet: «Per essere assolutamente chiaro, sono a favore della libertà di parola, ma contro ogni forma di antisemitismo». L’ennesimo scontro sulla pubblica piazza del miliardario che ha fatto del social network la casa dell’estrema destra americana – benché la Adl documentasse un’impennata di contenuti d’odio antisemita già dal 2016 – e che all’inizio di agosto ha fatto causa anche al Center for Countering Digital Hate (Ccdh). In un report dell’organizzazione no profit si denunciava infatti l’inazione della piattaforma nei confronti dei contenuti che diffondono discorsi d’odio. Anche in quel caso, Musk aveva parlato di una campagna per «spaventare gli inserzionisti» – advertisers, la vera parola chiave di questa vicenda.

FIN DALLA SUA acquisizione di Twitter e conseguente “ridimensionamento” (il licenziamento del 75% dei dipendenti, oltre 5.000 persone, fra cui quasi tutti i moderatori) gli inserzionisti sono fuggiti in massa dalla piattaforma, preoccupati dalla prospettiva di vedere i propri prodotti associati all’ondata di razzismo, odio e troll assortiti che ha da subito travolto l’ex Twitter – nel report incriminato della Adl si segnalava come solo il 28% dei contenuti antisemiti segnalati al social sia stato rimosso.

In uno dei suoi tweet, Musk sostiene che gli introiti provenienti dalle pubblicità negli Usa siano calati del 60%, «principalmente a causa delle pressioni dell’Adl». Ben 10 punti in più di quanto ammesso dallo stesso Musk a luglio, quando parlava di un calo di circa il 50%. E un’indagine del New York Times dello scorso giugno metteva a paragone le entrate pubblicitarie di X fra aprile e maggio 2023 con quelle della piattaforma nello stesso periodo di tempo l’anno precedente: meno 59%, circa il 30% in meno delle proiezioni della compagnia. All’epoca, Musk non accusava l’Adl né il Ccdh, ma gli stessi inserzionisti rei di esercitare una «pressione estrema» sul suo social: «Stanno cercando di mandare Twitter in bancarotta». Il tutto mentre Twitter Blue non è mai decollato: il servizio a pagamento inaugurato dall’uomo più ricco del mondo che offre agli utenti la spunta blu e altri vantaggi per 8 dollari al mese ha raccolto ben poche sottoscrizioni. Nonostante dia la libertà di postare tutto ciò che si vuole: lo studio condotto dal Ccdh evidenzia come il 99% dei contenuti d’odio postati dagli utenti “premium” non venga rimosso.

PER FAR FRONTE all’emorragia delle entrate pubblicitarie – e con esse ai 13 miliardi di debito contratto con l’acquisto di Twitter, che lo ha portato a vendere azioni di Tesla per il valore di miliardi di dollari – a maggio Musk aveva rinunciato alla carica di Ceo della piattaforma e nominato al suo posto Linda Yaccarino, che a Nbcuniversal era a capo proprio del dipartimento pubblicitario. La negazione della realtà della nuova Ceo però non è molto dissimile da quella del miliardario: appena un mese fa aveva dichiarato che dal cambio di proprietà «X è una piattaforma molto più sana e sicura». Ma gli amati e odiati inserzionisti non ne sono sembrati troppo convinti.
Intanto, quasi in sordina, per aumentare i guadagni è stato dato un altro colpo letale alla sicurezza degli utenti statunitensi: ora X può raccogliere anche i loro dati biometrici e informazioni sul loro lavoro.