Tensione alle stelle ieri a Mosca. Subito dopo l’incriminazione dei 12 presunti agenti russi si è fatto sentire subito il ministero degli esteri per respingere le «insinuazioni», accusando i democratici americani di aver fatto ripartire gli attacchi contro la Russia «a poche ore dal vertice tra Trump e Putin al solo fine di rovinare l’atmosfera dei colloqui».

Parole dure in cui, per la prima volta da quando Trump è in carica, si fa apertamente nome e cognome dei «sabotatori» di una nuova stagione del reset tra Mosca e Washington già sperimentata senza successo all’inizio dell’era Obama.

Vladimir Putin, dopo aver sentito rapidamente lo staff del presidente americano che confermava l’incontro di domani a Helsinki, sembra non voler dare troppo peso a questo nuovo scoglio, ma è evidente ormai che parte del summit sarà nuovamente dedicato al Russiagate.

I siloviki, i duri del Cremlino, raggruppati intorno a Igor Secin, presidente di Rosneft, e a Sergey Glazyev, consigliere di Putin sui temi di geopolitica, da sempre contrari a qualsiasi compromesso con gli Usa, hanno chiesto a gran voce a Putin – secondo quanto afferma il quotidiano della capitale Vedomosti – di mostrare i muscoli e non cedere di un passo sulla questione del Donbass che vorrebbero vedere un giorno integrato alla Federazione Russa.

Putin, da parte sua, ha spedito il suo portavoce Dmitry Peskov agli studi di Rt (la tv di propaganda russa rivolta essenzialmente al pubblico americano) per registrare una lunga intervista proprio a poche ore dal summit. «Noi ci attendiamo che dal vertice – ha detto Peskov – si manifestino almeno alcuni granelli di volontà politica per raggiungere una normalizzazione delle relazioni tra i nostri due paesi. Ci confronteremo per chiarire le nostre posizioni per confermare o dissipare i timori reciproci d su una serie di questioni».

Putin vuole però mettere alcuni paletti sul confronto di lunedì. «Il Cremlino spera che il presidente degli Stati uniti possa essere un politico che non si fermerà a ripetere il mantra che la Russia dovrebbe restituire la Crimea in Ucraina», ha sostenuto il portavoce del presidente russo.

Ma è difficile che Trump si presenti al vertice ripetendo la rivendicazione del ritorno della penisola sotto il controllo di Kiev. «Sarebbe una strada che non porta da nessuna parte, la fine del dialogo ancora prima che possa iniziare», ha aggiunto Peskov.

Che invece ci possa essere uno scambio sulla questione ucraina è un’ipotesi che tiene banco in Russia ancora in queste ore. Secondo Novaya Gazeta, si potrebbe giungere a un nuovo «protocollo segreto» sullo stile di quello firmato nel 1939 da Germania e Urss ma con nuovi protagonisti e inediti scambi.

«Gli Usa pianificano di aumentare significativamente la pressione sull’Iran, e non solo economicamente. Mosca potrebbe denunciare la pressione contro Teheran solo formalmente se Washington sarà disponibile a costringere Kiev ad attuare gli accordi di Minsk», sostiene il giornale di Mosca.

E non solo. In Siria, si potrebbe giungere a un’accelerazione del ritiro delle truppe Usa, che Trump desidera da tempo, solo se Putin assicurerà che ciò non porterà a un’espansione dell’influenza iraniana.Variante da collegare alle dichiarazioni di giovedì del consigliere del leader supremo della Repubblica islamica, Ali Akbar Velayati, dopo un incontro con Putin nella residenza presidenziale di Novo-Ogaryovo, appena fuori Mosca.

Per Velayati, la Russia è pronta a investire in progetti di petrolio e gas in Iran fino a 50 miliardi dollari. Secondo il politico iraniano, «gli investimenti della Russia nel petrolio e nel gas iraniani possono compensare l’annullamento dei contratti delle società europee sullo sfondo delle sanzioni statunitensi».

Peskov, comunque, nell’intervista a Rt ha messo in chiaro che Putin non pensa neppure di ridurre la pressione sul rinascente Russiagate consegnando alla Cia l’ex dipendente dei servizi speciali statunitensi Edward Snowden: «Non se ne parla neppure».