In Bolivia non c’è stata frode elettorale ma un golpe che ha provocato decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti. La tesi degli esperti del Massachusets Institute of Technology (Mit), pubblicata da The Washington Post (27 febbraio), è di certo la più prestigiosa, ma solo l’ultima di una serie di indagini – compresa quella del Comitato interamericano di difesa dei diritti dell’uomo (Cidh) – che avevano smentito o messo seriamente in dubbio le accuse di brogli attuati per mantenere al potere il presidente Evo Morales.

NON SOLO, PRIMA delle elezioni d’ottobre un’inchiesta pubblicata nel sito Behind Back Door aveva denunciato che l’Ambasciata degli Stati uniti, assieme a gruppi di estrema destra delle provincie orientali della Bolivia – spalleggiati dai loro alleati nella polizia e nelle Forze armate – avevano programmato una campagna martellante per denunciare supposte frodi elettorali e preparato «gruppi di shock» armati da lanciare contro il governo.

Com’è puntualmente avvenuto. Mentre i media e soprattutto le reti sociali – dominate dall’élite più abbiente e bianca – ripetevano ossessivamente le “prove” dei brogli, bande di civili armati – che si definivano «La Resistencia» – hanno attaccato e incendiato sedi del tribunale elettorale e del partito di governo, il Movimento al socialismo (Mas), abitazioni di parenti di ministri – compresa quella della sorella del presidente – sequestrato dirigenti del Mas – come Patricia Arce sindaca di Vinto (Cochabamba) con l’intenzione di linciarla – e preso in ostaggio alte cariche pubbliche.

Mentre polizia e Forze armate rimanevano nelle rispettive caserme, le reti sociali diffondevano un messaggio d’odio nei confronti di Morales e degli indios che lo appoggiavano.

Basta rileggere il romanzo sul fascismo di Antonio Scurati – M. il figlio del secolo – per trovare analogie sia nell’uso delle squadracce di Farinacci o degli Arditi che – e soprattutto – del progetto politico di Mussolini che le usava per imporre un potere nazional-fascista.

NEL CASO DELLA BOLIVIA, secondo l’analista e scrittore Fernando Molina – «l’abbattimento del governo di Morales più che un governo di transizione ha dato luogo a un nuovo blocco politico e sociale che cerca di “rifondare” il paese cancellando quanto più possibile le orme, i simboli e le politiche degli ultimi 14 anni».

Il governo golpista – che la maggior parte dei media definisce con la lieve espressione «di fatto» – presieduto da Jeannine Añez è infatti l’espressione della destra e dell’estrema destra boliviane e dei loro alleati nelle Forze armate. Per formarlo l’autonominata presidente de facto ha convocato i falchi delle élites (bianche) delle provincie orientali – Santa Cruz, Beni e Tarija – come i leader dei “gruppi civici” Luis F. Camacho e Marco Pamani – con lo scopo chiaro e dichiarato di «rifondare» la Bolivia.

FIN DALL’INIZIO questo governo ha considerato il Mas come un partito di «narcoterrorismo» e quello di Morales come un «narcogoverno» . E dunque ha avvalorato le azioni violente e anticostituzionali – in primis l’autoassegnazione della carica di presidente di Añez – come atti necessari per «sventare le frodi elettorali». Con la complicità dell’Organizzazione degli Stati americani (Oea) che quelle frodi aveva «certificato» e l’imprimatur del presidente Donald Trump e del suo omologo brasiliano Jair Bolsonaro.

LA PRIMA DECISIONE del governo è stata quella di «pacificare» il paese mediante la repressione poliziesca e militare di qualsiasi manifestazione a favore di Morales, nelle zone a maggioranza di indios. A livello internazionale vi è stato un cambio di 180° gradi con una pubblica sudditanza agli Usa (ricambiata dall’affermazione di Trump che la Bolivia «è vitale per gli interessi degli Usa»): la Bolivia ha rotto le relazioni diplomatiche con Cuba e Venezuela e abbandonato l’Alba, schierandosi con i governi di destra dell’America latina. A livello interno – secondo Molina – il governo Añez è passato «da uno statalismo disordinato e sprecone di energia che privilegiava l’élite “plebea” di indigeni e cholos» a «un capitalismo da camarilla che si propone di privilegiare l’élite meritocratica bianca e conservatrice».

IL NUOVO BLOCCO DI POTERE conta come espressione politica su una minoranza di parlamentari. Ma, mediante il controllo delle strade e degli apparti repressivi, è riuscito a dividere la maggioranza parlamentare del Mas ( in questa situazione si vede la debolezza di un potere personale esercitato da Evo Morales, espresso anche con la forzatura costituzionale mediante la quale si è candidato come presidente dopo 14 anni di governo, che pure poteva vantare risultati assai positivi).

Dunque il controllo politico che questo nuovo blocco esercita in Bolivia è forte. E di conseguenza è forte la sconfitta subita dal Mas e dall’ex presidente Morales, costretto all’esilio. Una sconfitta che può durare nel tempo, nonostante le speranze dell’ex presidente di avere una rivincita nelle elezioni del 3 maggio. I vari Añez, Camacho e i loro alleati militari sono intenzionati a restare al potere. Con tutti i mezzi.

LA CAMPAGNA ELETTORALE in corso avviene in un clima teso con le parti in lotta che non si riconoscono reciprocamente come legittime. Il candidato del Mas, Luis Arce, è in testa nei sondaggi col 31%. La destra è divisa. Ma si unirà al ballottaggio, dato per molto probabile. Secondo Molina un’eventuale vittoria del candidato di Morales e del Mas (nel caso non sia scongiurata, in questo caso sì, con frodi elettorali) non verrà riconosciuta, con l’avallo di Trump, Bolsonaro e delle destre latinoamericane. E naturalmente dell’Oea se – come purtroppo è probabile – il 20 marzo Luis Almagro verrà riconfermato segretario generale – o, secondo la definizione di Fidel Castro, «ministro delle colonie latinoamericane degli Usa».