C’è un cortometraggio del 2017 del regista somalo Said Fadhaye che racconta com’era il teatro nazionale di Mogadiscio prima della guerra civile. «Era un posto dove accadevano cose belle. Qui la lingua e la cultura somala venivano preservate», racconta nel video Abd-ElKarim mentre passeggia sul palco ancora diroccato. L’ex compositore della storica band Waaberi, che tra gli anni 60 e 90 fu più la famosa del Paese, ci ha suonato spesso in passato. «Era come una città in movimento h24».

POI C’È BINTI OMAR GA’AL, rinomata cantante di Waaberi, che viene ripresa mentre guarda un filmato d’archivio di uno dei suoi concerti nel teatro. Presa dalla nostalgia si passa la mano sul volto appena termina il clip in cui si esibisce. «Mi ricorda i bei tempi in cui ho cantato per la prima volta questa canzone, come mi sentivo in quel momento e le persone che erano sedute di fronte a me», spiega nel documentario. «La gente era appassionata di arte. Faceva la fila durante il giorno per comprare i biglietti, che finivano anche mentre si aspettava in coda, e gli si diceva di tornare domani». Il teatro nazionale somalo fu uno dei luoghi più rinomati dello spettacolo in Africa, finché divenne per tre decadi «il simbolo di una nazione distrutta con un buco nel cuore», come lo definisce Fadhaye. Fu chiuso nel 1991, all’inizio della seconda fase del conflitto interno, quando milizie rivali cominciarono a scontrarsi dopo la caduta del dittatore Mohammed Siad Barre. Fu anche usato come base dai combattenti e il tetto crollò dopo un anno dall’inizio degli scontri.
Ma l’altro ieri il pubblico ha avuto un assaggio di com’era la vita a Mogadiscio trent’anni fa. Per la prima volta da allora si è tenuta nel teatro, ormai riaperto da giugno 2020, una proiezione cinematografica pubblica. In programma c’erano due brevi film del regista 28enne Ibrahim CM, dal titolo Hoos e Date from Hell. Biglietto di 10$, non tra i più economici per il posto.

RISPETTIVAMENTE un horror e una commedia d’amore, «dei due spettacoli è stato apprezzato più quello che rappresentano che la loro trama. Un momento storico», spiega Ismail Dalmar, spettatore 53enne che è tornato da alcuni mesi nella capitale, in visita dopo averla lasciata nel 1986. Per lui che di solito vive in Danimarca è stato un evento «mozzafiato». E ritorna con la mente alla sua giovinezza, quando andare al cinema in Somalia era normale, mentre negli ultimi anni del suo Paese ha visto sullo schermo solo le macerie. «Avevamo le fidanzate, uscivamo, ci sentivamo sicuri e la religione non era un problema. Vedevamo film indiani, italiani, alcuni somali e anche americani in lingua italiana».
La Somalia di oggi è invece più conservatrice che in passato e il suo governo è in continuo scontro con Al-Shabaab, organizzazione terroristica di matrice islamica. Anche se i jihadisti sono stati cacciati da Mogadiscio una decina di anni fa, gli attentati continuano a occupare la cronaca locale e il ritorno al cinema si è tenuto con ingenti misure di sicurezza. «Ero felicissimo mentre ero in coda a prendere i biglietti, ma una volta dentro ho pregato affinché non succedesse nulla», racconta Dalmar. Nel 2012, ad esempio, il teatro fu bombardato due settimane dopo un primo tentativo di riapertura.

L’EDIFICIO, che fu costruito da ingegneri cinesi come dono di Mao Zedong nel 1967, è oggi l’unica piattaforma ufficiale dove i videomaker somali possono provare a presentare i propri lavori «perché non c’è un solo cinema nel Paese», spiega Abdihakan Basheir, organizzatore della proiezione dei film di Ibrahim CM, di cui è collega e coetaneo. «Non ero mai stato al cinema in vita mia, così come tutti i giovani che erano in sala. In città ci sono solo i cosiddetti Bollywood movies, stanze improvvisate nel retro di qualche negozio dove su un televisore si proiettano film indiani e gli spettatori siedono su casse di bottiglie di olio o simili».
Se il cinema indiano è diffuso in Somalia, così come in molte parti dell’Africa, è perché è tipicamente un genere di svago, facilmente disponibile oltre che in inglese, mentre «l’altra sera è stata la prima volta in assoluto che dei film somali sono stati proiettati al teatro nazionale», spiega ancora Basheir. Ma nonostante il valore di questo evento per la vita culturale del Paese, non è stato facile realizzarlo.
Secondo l’organizzatore, la produzione ha pagato di tasca propria 3000$ per la sicurezza e una singolare commissione di 300$ per l’approvazione dei cortometraggi all’Agenzia cinematografica somala, un ente statale nato nel 1975 sotto l’allora regime, che si occuperebbe dell’importazione, distribuzione e censura delle pellicole nel Paese.

ANCHE SE PER L’OCCASIONE il teatro era occupato per meno della metà dei 1300 posti disponibili, l’entusiasmo del giovane regista è rimasto alto, anche se non si trovava nella capitale il giorno della proiezione. «È comunque un privilegio e adesso i miei film hanno una carta in più da giocarsi per la diffusione futura», racconta Ibrahim CM. «Per i giovani somali invece la rinascita del cinema è come una porta che si apre. Come il futuro che li chiama».