Per descrivere gli eventi il quotidiano russo Kommersant ha deciso il titolo «Mobilitazione perpetua». Sarà sicuramente in linea con le disposizioni in materia di dissenso, ma trasmette comunque la complessità che attraversa la stessa cerchia del Cremlino di fronte all’ultimo discorso di Putin e alle conseguenze che l’intervento militare in Ucraina produrrà nei prossimi mesi in patria. Putin ha parlato mercoledì.

In teoria avrebbe dovuto trattare temi economici con amministratori e governatori locali, ma quell’occasione di terz’ordine nel calendario degli incontri pubblici l’ha usata per riscrivere un suo personale patto con il paese dopo vent’anni abbondanti di potere quasi assoluto.

E l’ha fatto da una anonima stanza nella residenza di Novo Ogarevo, alle porte di Mosca, seduto alla scrivania e collegato con i suoi in videoconferenza. Il passaggio più importante era nelle note finali.

«Qualsiasi popolo e ancor di più il popolo russo sarà sempre in grado di distinguere i veri patrioti dalla feccia e dai traditori e di sputarli fuori come si fa con i moscerini che entrano accidentalmente in bocca», ha detto Putin: «Sono convinto che un’autopurificazione della società sia naturale e necessaria e che rafforzerà il nostro paese, il nostro spirito di nostra solidarietà, la coesione e la disponibilità a rispondere a qualsiasi sfida».

Il corrispondente di Kommersant Andrey Kolesnikov ha notato un particolare interessante. «Ogni passaggio del discorso era costruito secondo le regole della guerra. Persino l’intensità delle parole era troppo alta. Insopportabile per i nervi di qualcuno». Sarebbe fin troppo ambizioso attribuire alle parole di Putin la valenza di una dottrina politica.

Quello di mercoledì è sembrato piuttosto un ultimatum ai funzionari che occupano un posto di responsabilità nelle gerarchie civili. Con la «mobilitazione perpetua», il capo del Cremlino ha fissato i termini della nuova realtà che seguirà probabilmente a lungo gli accordi per il cessate il fuoco in Ucraina e il ritorno di decina di migliaia di militari. La sensazione è che questi due elementi possano produrre significative variazioni nel consenso di cui Putin ancora oggi gode presso una larga fascia di cittadini.

In un periodo simile la Russia si è trovata alla fine degli anni ’90, dopo il ritiro delle truppe dalla Cecenia. Sul piano militare i due conflitti cominciano ad avere diversi punti in comune, quanto meno nell’immaginario collettivo. È ancora presto per le valutazioni sul piano sociale. Ma è chiaro a tutti che la sconfitta nel Caucaso provocò, o quanto meno accelerò, il tracollo umano e politico della nazione negli ultimi tre anni di Boris Eltsin. Nessuno in Russia vorrebbe tornare a quella stagione.

Non è un caso che l’attenzione di Putin sia rivolta adesso proprio agli apparati militari e alle strutture dell’Interno. La scorsa settimana sono finiti in arresto i vertici del quinto dipartimento del Servizio federale per la sicurezza (Fsb). Ieri, secondo numerose fonti, sarebbe stata la volta del numero due della guardia nazionale, Roman Gavrilov.

Licenziato personalmente per ragioni ancora da chiarire dal suo diretto superiore, Viktor Zolotov, fra i più fidati collaboratori di Putin. Il segnale anticipatore di questa fase è nella legge approvata all’unanimità alla Duma all’inizio del mese che prevede il carcere per i rapporti sulla guerra diversi da quelli ufficiali.

La Duma non ha semplicemente posto i sigilli dello stato all’informazione. Ha anche stabilito la fine del dibattito politico. Un’opera, insomma, di autocensura, o, come direbbe Putin, di «autopurificazione», per distinguere «chi è con noi» da «chi è contro di noi». Altri segni prendono corpo rapidamente. Parlamentarskaya Gazeta ha riferito ieri sulla proposta di un referendum con cui il partito populista Ldpr punta a sospendere la moratoria sulla pena di morte, ora che la Russia non fa più parte del Consiglio d’Europa. «I nostri cittadini sono abbastanza maturi per prendere questa decisione da soli», dice un documento del gruppo parlamentare.

Secondo l’Ldpr la pena di morte dovrebbe essere prevista «per i crimini più gravi», come l’omicidio, il terrorismo, la violenza sui minori, ma anche la corruzione «su scala particolarmente ampia».

L’ipotesi è discussa da diversi partiti. Il comunisti del Kprf l’hanno bocciata, parlando di una «operazione di pr». Il presidente della commissione per gli Affari costituzionali, Andrei Klishas, ha detto che il quadro normativo non permette la pena capitale, al di là della moratoria e della presenza del paese nel Consiglio d’Europa.