«Stringiamo un patto per fermare i trafficanti di uomini». Marco Minniti ci riprova. Ieri il ministro degli Interni è tornato a Tripoli dove ha incontrato il premier Fayez al Serraj e 13 sindaci del Fezzan e della Tripolitania, le due regioni libiche maggiormente interessate dal passaggio di migranti. E ai rappresentanti degli enti locali ha promesso aiuti per la ricostruzione del tessuto amministrativo distrutto da anni di guerra civile in cambio di una collaborazione che, in realtà, più che a contrastare le organizzazioni criminali finirebbe col fermare il flusso dei migranti diretti in Europa. Riuscendo così a dare un po’ di respiro all’Italia, da mesi sotto pressione per l’alto numero di sbarchi.

Il ministro ha trovato disponibilità da parte dei primi cittadini, che però sui sarebbero detti contrari alla creazione di campi profughi nel sud del paese convinti, come avrebbe spiegato il sindaco della città di Murzuk, nel Fezzan, che avrebbero un impatto negativo sulla sicurezza dell’area. «Quello che chiediamo all’Italia, – avrebbe spiegato il sindaco – è di aiutarci con la sicurezza dei confini meridionali tramite le tecnologie che possiede».

Vista la situazione di instabilità della Libia, Roma già da tempo ha cominciato a spostare la sua azione più a sud, cercando di stringere accordi con i paesi del Sahel e in particolare con Ciad e Niger, due dei principali punti di transito dei migranti. Finché questi non si concretizzeranno, però, all’Italia non resta altro da fare che continuare a investire risorse nel paese nordafricano.

Forse proprio perché consapevole della sua debolezza, e quindi spinto dalla necessità di dover dimostrare all’alleato italiano di fare qualcosa nel contrasto all’immigrazione, due giorni fa Serrraj ha pensato bene di minacciare il bombardamento delle navi degli scafisti. Idea irrealizzabile, perché il leader libico non dispone di una propria aviazione e nel caso dovrebbe fare affidamento ai Mig in possesso delle milizie d Misurata. Ma soprattutto perché una simile azione scellerata provocherebbe una strage di migranti, in mezzo ai quali si nascondono i trafficanti. Motivo per cui tutti, nella comunità internazionale, hanno preferito non dar peso alle sue parole.

Più pragmatico l’approccio italiano con i primi cittadini libici. Per questo ieri a Tripoli con Minniti c’era anche il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro. «Ho trovato dei sindaci determinati a dare maggiore stabilità al Paese e a rilanciare le economie locali», spiega Decaro al quale i colleghi libici hanno presentato una lista di richieste molto concrete: dall’aiuto a riorganizzare le polizie locali alla fornitura di depuratori per l’acqua, alla ricostruzione degli uffici anagrafici e delle scuole. «Molti di questi sindaci amministrano comunità vicine al confine sud della Libia, dove l’attività dei trafficanti è più forte e rappresenta spesso l’unico sostegno per le famiglie», ha proseguito Decaro. «L’obiettivo è riuscire a far ripartire un’economia legale».

Per quanto riguarda la sicurezza del confine con il Niger, l’Italia punta alla creazione di una guardia di frontiera libica, formata dalle stesse popolazioni del Fezzan e pagata con fondi europei, come già avviene con la Guardia costiera libica. Ma qualcosa potrebbe muoversi anche al di là del confine. Parlando due giorni fa a Trieste a margine del vertice sui Balcani occidentali, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato di voler «associare l’Italia alla nostra azione in tutta la zona del Sahel», dove la Francia dispone di proprie truppe e dove ha contribuito alla formazione di una forza comune tra i cinque paesi dell’area. «Porteremo avanti azioni comuni – ha aggiunto – per cercare di stabilizzare la zona e fermare i flussi di migranti».