La vicenda di Mimmo Lucano – al quale nel mese di novembre è arrivata diretta solidarietà con tante iniziative, la manifestazione “Abbracciamo Riace” a inizio mese e poi più recentemente con una serata importante anche a Parigi – di cui è vitale continuare a parlare, è stata avvicinata da molti a quella dell’Antigone di Sofocle.

E davvero poche altre figure, nella letteratura di tutti i tempi, sono state capaci di superare sé stesse – la propria individualità, la propria singolarità – e di assurgere a simboli universali come Antigone. Poche altre opere hanno saputo altrettanto sollecitare la riflessione e la coscienza; poche altre figure sono state altrettanto rielaborate.

Del resto, osservava Claudio Magris alcuni anni fa, l’Antigone «non appartiene soltanto alla letteratura«, perché «è un’opera che investe alle radici le ragioni, le contraddizioni e le lacerazioni dell’esistenza»: e come tale appartiene anche alla filosofia, alla religione, alla politica.

Chi è Antigone? È la figlia di Edipo e Giocasta, nata dalla loro unione incestuosa; ed è la sorella di Ismene, Eteocle e Polinice. Dopo la morte di Edipo, Eteocle e Polinice si contendono il governo di Tebe e nella guerra fratricida muoiono entrambi. Re di Tebe diventa Creonte, il quale per decreto stabilisce che solo Eteocle potrà essere sepolto. Antigone si ribella alla decisione, rifiutandosi di accettarla. Condannata a morte a sua volta, verrà murata viva in una tomba, ma infine morirà per mano propria, suicida, e come lei moriranno suicidi anche il figlio e la moglie dello stesso Creonte: Emone, che di Antigone era il fidanzato, ed Euridice. Si dispera Ismene, che inizialmente era esitante ma che poi avrebbe voluto unirsi al destino di Antigone, e si dispera anche Creonte, che troppo tardi forse comprende: «Io non sono altro che nulla», sono le sue ultime parole, «tutto crolla quanto avevo, e sul mio capo sorte si è abbattuta grave da portare«.

Il fuoco della tragedia, di quelle «lacerazioni dell’esistenza» che rappresenta, è soprattutto nel confronto fra Antigone e Creonte. Le ragioni di Antigone, che le impediscono di accettare l’idea che il corpo di Polinice rimanga insepolto, sono quelle del cuore, dell’amore fraterno e della pietas dovuta ai morti contro la freddezza della legge, la sua inesorabilità, la sua inderogabilità. Sono quelle del diritto naturale contro il diritto positivo, incarnato da Creonte. Ed è per questo che l’Antigone appartiene anche al diritto.

In effetti nell’Antigone può essere vista una sintesi di tutti i possibili rapporti umani: fra vecchiaia e giovinezza, individuo e comunità, pubblico e privato, mondo dei vivi e mondo dei morti. Ma è il tema del conflitto fra legge e coscienza, fra comandamenti etici e prescrizioni normative, fra le «leggi non scritte e incrollabili degli dèi» e le leggi dello Stato quello che da sempre sembra prevalere sugli altri, nella lettura della tragedia: ed è infatti all’Antigone che si fa riferimento tutte le volte in cui la realtà ci mette di fronte a questo conflitto.

Come appunto anche nel caso di Riace, nel quale le ragioni di Mimmo Lucano potrebbero essere assimilate a quelle di Antigone: le ragioni di un possibile modello inclusivo, di accoglienza, contro quelle di una legge e di una burocrazia che a tale modello sembrerebbero opporsi.

Di per sé il tema è molto delicato, e lo è ancora di più quando la politica lo radicalizza in contrasti ideologici aldilà di qualunque dato fattuale.

Lo stesso Magris, in quell’intervento di alcuni anni fa, invitava a fare attenzione: anche le voci del cuore vanno sottoposte al vaglio della coerenza logica e delle loro ripercussioni sociali. Ciascuno di noi è portatore di un proprio senso di giustizia, ma pretenderne l’imposizione sulle norme che dovessero contraddirlo equivarrebbe a trasformarlo, come minimo, in una forma di prevaricazione.

Il punto allora non è stabilire una volta per tutte cosa debba valere di più, fra legge e coscienza; il punto è che il conflitto fra legge e coscienza è irrisolvibile per sua natura, perché riguarda una dimensione psicologica che è o dovrebbe esserci innata (come sembra voler mettere in luce anche Eugenio Borgna nel suo recente Antigone e la sua follia, quando afferma che l’Antigone, indipendentemente da tutto il resto, è una tragedia “nella quale si rispecchiano le grandi emozioni della vita”).

Ecco, a questa dimensione psicologica dovrebbe uniformarsi anche il diritto, che non dovrebbe mai cedere alla tentazione dell’appagamento di sé, di quanto già previsto, e che dovrebbe avvertire, al contrario, una continua tensione verso leggi più giuste, più eque, più alte. Ivi compresi modelli culturali e sociali più inclusivi, più accoglienti.

Non dimentichiamo Mimmo Lucano.