Tra gli stand disposti ieri nel cortile dell’Università degli Studi di Milano per l’Open Day ce n’era uno scortato da studenti vestiti da militari, con mitra di plastica: era quello montato dall’Intifada Studentesca che da mesi chiede al rettore e al Senato accademico di rescindere l’accordo con l’israeliana Reichman University: il nome sullo stand appariva macchiato di sangue e attraversati da proiettili.

«È UN’UNIVERSITÀ a forte vocazione militare, che offre programmi specializzati per i membri dell’esercito, vanta ex generali e comandanti del Mossad tra i membri del suo consiglio d’amministrazione, organizza eventi e corsi di formazione con i servizi segreti, di sicurezza e antiterrorismo» spiega un portavoce dell’Intifada Studentesca che a maggio ha occupato la Statale con decine di tende e prodotto un dettagliato dossier sul sostegno della Reichman allo sforzo bellico di Israele a Gaza.

Il 19 giugno si è riunita la prima commissione destinata a valutare questo accordo interuniversitario, dopo mesi di pressioni a cui si sono uniti alcuni docenti e poi ricercatori, dottorandi e personale tecnico amministrativo, da poco riuniti nel Coordinamento Unimi per la Palestina.

«Avevamo chiesto che alla commissione fossero presenti anche docenti che hanno firmato la lettera in cui si argomenta la richiesta di rescissione, invece gli unici presenti erano quelli che questo accordo l’hanno voluto» spiega una ricercatrice rappresentante del Coordinamento. Insisteranno per essere ammessi alla prossima commissione, il 4 luglio, e poi finalmente il 9 si riunirà nuovamente il Senato accademico per votare una risoluzione sul tema.

Sarà un primo risultato, considerando che le autorità della Statale si erano finora rifiutate addirittura di entrare nel merito, ma la componente studentesca e lavoratrice dell’università che si è mobilitata in questi mesi intende andare oltre: la riflessione aperta con la denuncia del genocidio in Palestina si è allargata e sta mettendo in discussione il ruolo dell’università nel contesto politico attuale: «Anche il legame della Statale con Eni è problematico, così come le esercitazioni di Mare Aperto» continua il referente dell’Intifada Studentesca, e un altro esempio è l’accordo che c’era fino a settembre scorso con la Ariel University, che sorge nei Territori Occupati. «Bisogna cambiare l’assetto di fondo, in modo che l’università non favorisca più né guerre, né espropriazioni, né colonialismi, né genocidi».

Anche sul fronte del personale universitario c’è la volontà di intervenire «sul ruolo del sapere nel promuovere contesti di pace invece che di guerra» spiegano dal Coordinamento, che aveva firmato anche la lettera aperta al Maeci per la sospensione dell’accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele, rispetto al rischio di dual use delle ricerche.

Nelle università in tutta Italia si stanno interrogando sulle possibilità di azione che hanno di fronte al genocidio: «C’è la necessità di fare rete per promuovere il supporto a studiosi e studenti palestinesi, abbiamo sentito con forza l’appello che è arrivato dagli accademici di Gaza, che hanno scritto una lettera aperta al mondo per ricordare la distruzione di tutte le università nella Striscia e chiedere solidarietà. Per questo cerchiamo di lavorare per ottenere borse e programmi di studio congiunti, cioè per costruire una solidarietà fattiva con la Palestina».

Le acampadas con le tende, le proteste e i reclami dentro le università si sono diffuse in tutto il mondo come strumento per alzare la voce contro il genocidio che Israele sta consumando contro il popolo palestinese, «nelle settimane di occupazione in via Festa del Perdono abbiamo più volte organizzato dei collegamenti con altre mobilitazioni in giro per il mondo, sia dagli Stati Uniti che con quelle più vicine a noi, dalla Spagna, dalla Francia, dal Belgio, dall’Olanda.

La cosa positiva di questo spazio politico che si è creato è il fatto di poter condividere le esperienze e di essere sempre un po’ in collegamento» conclude un’altra esponente dell’Intifada Studentesca, che è parte anche dei Giovani Palestinesi. La protesta partita dalle università – la Statale, poi anche Bicocca e Città Studi – dialoga inoltre con le manifestazioni per la Palestina che si radunano ogni sabato, ed è ora diventata un’assemblea permanente anti imperialista, disposta ad estendere il confronto, dentro e fuori dalle università, fin da ora e con più forza da settembre.