Parlando ieri ai parlamentari polacchi Mateusz Morawiecki non ha mostrato dubbi: la regia dell’emergenza migranti che contrappone la Polonia alla Bielorussia non va cercata a Minsk, ma più a est: «Alexandr Lukashenko è solo l’esecutore – ha detto il premier riferendosi al dittatore bielorusso -, ma questo attacco ha il suo mandante a Mosca ed è Vladimir Putin».

Le parole di Morawiecki introducono pesantemente un nuovo attore nella crisi che dall’estate scorsa si sta consumando sulla pelle di migliaia di migranti al confine tra i due Paesi. Di certo, per ora, c’è che Lukashenko e il presidente russo ieri si sono sentiti al telefono e hanno parlato a lungo di quanto sta accadendo alla frontiera. E Putin deve aver garantito all’alleato il sostegno di Mosca nello suo scontro con Bruxelles per le sanzioni adottate dalla Ue contro Minsk. Al punto che Lukashenko non ha perso tempo per inviare alla Polonia e all’Europa una serie di messaggi che suonano come altrettante minacce: «Non mi piegherò all’Unione europea», ha detto diffidando Varsavia dal mettere in atto «provocazioni» alla frontiera. Per concludere con un vero e proprio avvertimento: «La Bielorussia non deve commettere errori nel risolvere la crisi migratoria, altrimenti sarà inevitabile il coinvolgimento della Russia, la maggiore potenza nucleare, nella questione». Parole rese più credibili dal successivo intervento del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, per il quale la crisi dei migranti in Bielorussia sarebbe una conseguenza selle politiche che i Paesi occidentali, compresa la Nato e l’Unione europea, perseguono da anni nei confronti del Medio oriente e del Nord Africa.

Con le spalle coperte da Mosca, con la quale pochi giorni fa ha approvato una serie di interventi utili ad accelerare il processo di integrazione, Lukashenko alza sempre più l’asticella delle provocazioni. E gli effetti non tardano a farsi sentire. Dopo la Polonia, che lo ha dichiarato lo scorso 2 settembre, ieri anche a Lituania, altro Paese verso il quale Minsk spinge i migranti (secondo fonti di stampa ieri i militari bielorussi ne avrebbe trasferiti 500, tra i quali anche bambini con meno di 12 anni, dal confine con la Polonia a quello con la Lituania) ha proclamato lo stato d’emergenza a partire da oggi e per un mese in tutte le regioni al confine con la frontiera bielorussa. Da parte sua Varsavia teme adesso un’escalation armata al confine, visitato ieri da Morawiecki con il ministro della Difesa Mariusz Blaszczak «Oggi sono in gioco la stabilità e la sicurezza dell’intera Ue», ha detto il premier. Si muove anche la Nato, con il segretario generale Jens Stoltenberg che ha incontrato il presidente polacco Andrzej Duda. In Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia, l’Alleanza ha quattro battaglioni per un totale di 4.600 uomini. A Duda Stolteberg ha ricordato come la Nato stia monitorando quanto accade alla frontiera con la Bielorussia e che «l’Alleanza è solidale con la Polonia e tutti gli alleati nella regione».

E l’Unione europea? La crisi con Minsk ha fatto per ora passare in secondo piano lo scontro in atto sullo stato di diritto anche se Bruxelles chiede a Varsavia maggiore trasparenza su quanto accade alla frontiera e di consentire l’ingresso di Frontex nel Paese. Lo scontro in atto con la Bielorussia sarà il tema centrale del Consiglio dei ministri degli Esteri Ue previsto per lunedì prossimo ma nel frattempo sono state confermate nuove sanzioni riguardanti questa volta la cancellazione delle facilitazioni per il rilascio dei visti per esponenti del regime. Ma non solo: «Stiamo monitorando il ruolo della Russia nella crisi con al Bielorussia», ha detto un portavoce del Servizio di azione estera dell’Unione.

Bruxelles vuole comunque soprattutto mettere fine ai voli che portano i migranti fino a Minsk. Stando a un’inchiesta condotta del tedesco Deutsche Welle i principali punti di partenza verso la Bielorussia sarebbero tre città del Kurdistan iracheno, Erbil, Shiladze e Sulaymaniya, con il rilascio dei visti gestito dall’ambasciata bielorussa a Erbil.