«Credo che sia legittimo per l’Italia, nel momento in cui altri chiedono la difesa dei confini dai movimenti secondari, porre il tema per il quale prima dei movimenti secondari ce ne sono di primari». A Stoccolma Giorgia Meloni ha appena concluso il bilaterale con il primo ministro svedese Ulf Kristersson ma le sue parole lasciano intravvedere come le posizioni tra i due leader su una questione delicata come l’immigrazione restano distanti. Al di là delle frasi di circostanza («Colloquio positivo per lavorare a soluzioni europee su competitività e migrazione», scrive la premier su Twitter) è chiaro che la Svezia, a cui fino a giugno spetta la presidenza di turno dell’Ue, non ha alcuna intenzione di venire incontro alle richieste italiane di una maggiore condivisione di coloro che sbarcano sulle coste del nostro Paese. A partire dalla possibilità di arrivare in tempi stretti a un voto finale sul Patto su immigrazione e asilo, che Stoccolma ha già detto improbabile prima della primavera 2024.

Svezia e Germania sono i due Paesi che la premier ha deciso di visitare in cerca di alleati in vista del Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio. I capi di Stato e di governo parleranno di flussi migratori e degli aiuti di Stato, questioni entrambe importanti per Meloni che da Kristersson, alla guida di un governo di centrodestra appoggiato dai Democratici svedesi, formazione di estrema destra alleata di Fratelli d’Italia nei Conservatori europei, si aspetta magari una maggiore solidarietà.

Quando si parla di migranti, però, nessuna vicinanza politica tiene e ogni Paese fa per sé. E la Svezia non ha alcuna intenzione di procedere, come vorrebbe l’Italia, a una modifica dei Trattati dei quali anzi chiede un’applicazione più rigida. A partire proprio dal regolamento di Dublino, che impone ai Paesi di primo approdo come l’Italia l’esame delle richieste di asilo dei migranti. Molti dei quali una volta sbarcati si dirigono verso il Nord Europa dando vita a quei movimenti secondari che diversi Stati chiedono di bloccare. Tra questi, oltre alla Svezia, anche Olanda, Belgio e Austria che al vertice del 9 febbraio potrebbero addirittura presentare un documento per chiedere anche loro l’applicazione di Dublino e, tra l’altro, che la Commissione europea prepari dei report semestrali sui movimenti dei migranti all’interno della Ue.

Viceversa un punto sul quale tutti e 27 gli Stati si dicono d’accordo è la ricerca di soluzioni utili a fermare gli arrivi. A Stoccolma prima, e a Berlino nel pomeriggio, Meloni ha chiesto maggiore coesione nella difesa dei confini europei e nei rimpatri di quanti non hanno diritto a restare in Europa. Tutte cose che per la premier dovrebbero andare di pari passo con un programma di investimenti economici nei Paesi di origine dei migranti. Su questo Meloni sa di trovare le porte aperte e non solo in Svezia e Germania. Una bozza di documento finale proprio del prossimo Consiglio Ue circolata in questi giorni a Bruxelles, riafferma la determinazione dei capi di Stato e di governo a «garantire un controllo delle frontiere», esprime solidarietà all’agenzia Frontex e sottolinea come «necessaria un’azione rapida per garantire rimpatri effettivi dall’Unione europea e dai Paesi terzi lungo le rotte verso i Paesi di origine». Per farlo si sollecita a Commissione europea a valutare la possibilità di «introdurre misure restrittive in materia di visti verso i Paesi terzi che non cooperano in materia di rimpatri».

Con Olaf Scholz, che Meloni incontra nel pomeriggio, la premier italiana ha parlato soprattutto di economia e Ucraina. Per quanto riguarda i migranti nelle scorse settimane il governo tedesco aveva criticato la linea dura scelta da Roma verso le ong e ieri il cancelliere tedesco ha in qualche modo mantenuto la linea ricordando l’importanza di lavorare per «un sistema comune di asilo sulla base dei nostri valori della democrazia e dei diritti dell’umo, con un giusto equilibrio fra responsabilità e solidarietà». Poi però, anche lui si è detto d’accordo con Meloni sulla necessità dei rimpatri e di fatto sorvolando sull’accoglienza. Scelta obbligata per un Paese con un sistema in crisi per aver accolto 1,2 milioni di immigrati negli ultimi 12 mesi, la maggior parte dei quali dall’Ucraina.