Duemila migranti hanno passato la frontiera con bandiere e inni diretti al Nord. Verso gli Stati uniti, patria della democrazia e paese delle opportunità.
Fuggono da un paese nel quale non possono più vivere a causa della povertà, della violenza, della repressione e della mancanza di democrazia.

Per affrontare repressione e rischi i migranti si sono organizzati in una carovana. Trecento persone al giorno cercano di raggiungere la carovana. Circa diecimila negli ultimi mesi. Il presidente ha schierato le truppe alla frontiera per impedire l’esodo. Il leader della carovana, giornalista indipendente e ex parlamentare d’opposizione, è stato arrestato e di lui non si sa nulla.

Stiamo parlando del Venezuela e della fuga «in massa» dal paese a causa della «crisi umanitaria» e della reazione del «regime dittatoriale chavista» del presidente Maduro? Ci riferiamo al «voto con i piedi» contro una dittatura che il presidente Donald Trump ha elogiato – e provocato con le sue sanzioni? Al contrario, si parla della fuga dall’Honduras dove, dopo il golpe del giugno 2009 sostenuto dall’allora segretaria di Stato Usa Hillary Clinton e finanziato dagli States, non è mai stato restaurato un governo democratico. E infatti questa volta Trump non elogia, ma minaccia in Twitter: «Niente più aiuti economici se non li riportate indietro». Quelle (poche) migliaia di migranti «minacciano la sicurezza degli Usa». Il presidente Juan Orlando Hernandez ha prontamente ubbidito e ha fatto arrestare – con la complicita del presidente (di destra) del Guatemala- il leader della carovana Bartolo Fuentes.

Leggiamo in un giornale autorevole (El País): «Ogni giorno migliaia di persone fanno la fila alle mense popolari o nelle parrocchie per chiedere cibo. Altri frugano nei contenitori di immondizie…La situazione è peggiorata da quando…la moneta ha iniziato a perdere valore e l’inflazione a galoppare». Anche in questo caso non si fa riferimento alla «crisi umanitaria» in Venezuela, bensì alla crisi dell’Argentina del presidente di destra e liberista Maurizio Macri. A differenza del Venezuela però non sono state decretate sanzioni punitive. Anzi il Fmi gli ha prestato 57 miliardi di dollari (la prima tranche di 17 miliardi è già sfumata in meno di un mese).

La doppia morale «fai quello che io dico , non quello che io faccio» non ha frontiere. La più pericolosa – e disgustosa- è quella praticata dai governi di paesi che affermano di essere – solo loro – i veri difensori della democrazia e della libertà. E dunque il modello da seguire. Più che ipocrita questa affermazione rappresenta in se una forma di disprezzo, e spesso una forma di dominio, dei paesi che li circondano.

L’America latina, soprattutto con i suoi governi progressisti, ha subito da decenni i costanti attacchi dagli Usa basati sulla doppia morale e amplificati dai «più influenti» media. Sono inziati in Nicaragua (1934, assassinio di Sandino, il «generale di uomini liberi» ) poi in Guatemala negli anni ’50 (per difendere gli interessi della United Fruits) e sono proseguiti contro a Cuba rivoluzionaria. Due decade dopo in Cile (Allende) e poi fino ai nostri anni in Honduras, Brasile, Argentina, Bolivia e di nuovo Nicaragua (Ortega) e negli ultimi anni specialmente contro il Venezuela.

E continuano. Dei più di 200 conflitti in America latina relazionati a attivita minerarie, il 90% vede implicate imprese del Canada (misionverdad.com), che in combutta con alcuni governi provocano l’espulsione forzata di popolazioni. Almeno 207 leader indigeni e/o ambientalisti sono stati uccisi nel 2017 (Global Witness), di questi 57 nel Brasile di Temer (primo in classifica): quante denuncie abbiamo letto (oltre a quelle del manifesto)? Indovinate quale sarà prossima la crisi che avrà maggio copertuta televisiva: quella dell’Argentina o quella del Venezuela?