Almeno 22 morti si contavano ieri pomeriggio, un bilancio che si è via via aggravato nel corso delle ore. Si tratta delle vittime del naufragio avvenuto nell’Egeo, al largo della Turchia, dove un gommone carico di migranti è affondato di fronte alle coste di Eceabat, nella provincia di Canakkale, nei pressi dello stretto dei Dardanelli. Tra i deceduti almeno 7 bambini, due neonati. Solo due le persone salvate dalla Guardia costiera turca mentre altri due sono riusciti a raggiungere la riva da soli. Non è chiaro quante persone fossero a bordo dell’imbarcazione.

NEL CONTO delle vittime di giornata va aggiunto anche uno dei due naufraghi a bordo della Ocean Viking che mercoledì era stata portato via con l’elisoccorso. Non si conoscono né le sue generalità, né l’età e il Paese di provenienza: era arrivato nella Rianimazione del San Giovanni di Dio di Agrigento in condizioni critiche. I due facevano parte del gruppo di 25 migranti superstiti di un gruppo rimasto sette giorni alla deriva senza acqua né cibo: il gommone era partito dalla Libia ma il motore si era rotto dopo tre giorni. Nonostante fossero stati avvistati, nessuno li ha soccorsi fino a quando non è arrivata l’ong che li ha trovati decimati e in condizioni disperate. Stando ai racconti dei naufraghi, all’appello mancano circa 60 persone. L’altro migrante per cui si è resa necessaria l’evacuazione si trova ancora in Rianimazione ma all’ospedale Ingrassia di Palermo.

SULL’OCEAN VIKING ieri c’erano 359 naufraghi in navigazione verso Ancona, il porto indicato dalle autorità italiane per lo sbarco. Giovedì notte la nave umanitaria ha salvato altre 135 persone, tra cui una donna incinta e otto bambini. Erano su una barca a due piani in zona Sar maltese. «Una navigazione così lunga non dovrebbe mai essere imposta alle persone soccorse in mare» commentano da bordo i membri di Sos Mediterranee. L’arrivo è previsto per lunedì prossimo, un’inutile crudeltà visto lo stato psicofisico di molti dei naufraghi, per i quali è stato necessario utilizzare i respiratori. Ieri l’appello dell’Oim: «L’Ocean Viking dovrà sbarcare a 1.450 chilometri di distanza. A bordo anche i sopravvissuti del naufragio di tre giorni fa, stremati. Per loro un’ulteriore ed evitabile sofferenza. Il porto sicuro deve essere anche vicino».

LA SEGRETARIA PD Elly Schlein: «Hanno visto morire sessanta persone di fame e di ustioni ma il governo impone ai sopravvissuti altri 5 giorni di navigazione. Infierire dopo quanto hanno passato è disumano e intollerabile, non degno di un Paese come l’Italia. Al governo chiediamo di intervenire e assegnare un porto più vicino. Fermiamo questa vergogna». E da Avs Nicola Fratoianni: «Mentre il governo tiene le navi delle ong sotto sequestro nei porti e ci si ostina ad affrontare il fenomeno in modo emergenziale, le persone continuano a morire».

NON HA ANCORA UN’IDENTITÀ il giovane, forse 18enne, deceduto sulla nave ong Sea Watch 5 il 7 marzo: era stato preso a bordo in condizioni critiche nel corso di un’operazione di soccorso che aveva portato in salvo a Pozzallo 51 persone. Il ragazzo era deceduto probabilmente per i fumi della benzina. A distanza di qualche giorno dall’ispezione del medico legale, la Procura ha affidato l’incarico di effettuare l’autopsia, per chiarire le cause della morte. Intanto, l’Asgi – Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha inviato una nota congiunta con Sea Watch alle istituzioni per chiede di attivare ogni procedura «per garantire anche a distanza di tempo di potere restituire un’identità alla vittima».

IN SOSTANZA si chiede che venga prelevato il Dna e rilevate le impronte, che si proceda anche alla repertazione degli oggetti personali e sia data evidenza a ogni altro segno particolare (ad esempio tatuaggi e cicatrici). «L’identificazione – spiega l’Asgi – riteniamo sia un diritto e un dovere, tanto quanto una sepoltura rispettosa. Un diritto anche per i famigliari, affinché possano un giorno ritrovare il loro caro». Secondo l’Oim, sono 80 i migranti morti nel Mediterraneo centrale e circa 190 i dispersi dall’inizio dell’anno al 9 marzo (360 i morti nell’intero Mediterraneo). A conferma che la rotta è tra le più letali. E una delle più trafficate: ieri a Lampedusa c’erano circa 800 migranti.