A Giorgia Meloni il benvenuta a Bruxelles lo dà un portavoce della Commissione europea e non è proprio un abbraccio caloroso. La premier italiana è stata preceduta dalle notizie che arrivano dal Mediterraneo, dove da giorni le navi di tre ong con in tutto mille migranti a bordo aspettano inutilmente un porto dove sbarcare. Una situazione che a Bruxelles viene monitorata con attenzione e che desta preoccupazione.

Seppure felpate, come si conviene, le parole del portavoce non lasciano però dubbi sul messaggio che le istituzione europee vogliono mandare al capo del governo italiano: «Ricordiamo che salvare le vite a rischio in mare è un obbligo morale e legale per gli Stati membri secondo il diritto internazionale, indipendentemente dalle circostanze che hanno portato le persone a ritrovarsi in una situazione di difficoltà». E poi, come risposta indiretta alle polemiche di Roma che chiede un maggiore coinvolgimento dell’Europa, sempre il portavoce ricorda come ormai da cinque mesi sia attiva un piattaforma per il ricollocamento dei migranti alla quale hanno aderito 21 Stati Ue e tre associati. «Al momento si registrano 8.000 offerte di relocalizzazioni – ha proseguito – Il meccanismo può essere utilizzato anche per redistribuire i migranti al momento bloccati sulle navi al largo dell’Italia». Come a dire: l’impegno europeo c’è.

E’ tutto quello che l’Europa poteva e doveva dire sull’argomento. E c’è da scommettere che gli stessi concetti a Meloni li abbia espressi la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen durante l’incontro a quattro occhi tra le due. Non a caso al termine, solo l’italiana sceglie di affrontare l’argomento con i giornalisti che l’aspettano: «Abbiamo parlato di flussi migratori, della richiesta italiana, diciamo, di un cambio del punto di vista – dice -. Anche questa è una materia ovviamente molto delicata è importante, una materia sulla quale ho trovato orecchie disponibili all’ascolto».

Certo il biglietto da visita con cui Meloni si presenta a Bruxelles aiuta. Non ci sono solo le tre navi delle ong bloccate fuori dalle acque territoriali italiane in condizioni sempre più a rischio, ma anche la polemica con la Germania, Paese di bandiera della Humanity One. Nei giorni scorsi la Farnesina ha chiesto che siano i tedeschi a farsi carico delle persone tratte in salvo dalla ong, richiesta alla quale Berlino ha però risposto a brutto muso: «Tocca all’Italia prestare velocemente soccorso alle persone a bordo». Non a caso la stessa posizione dell’Unione europea.

La questione è stata affrontata ieri a Berlino dal ministro degli Esteri Antonio Tajani con la collega Annalena Baerbock alla quale ha ripetuto le richieste italiane: «Vogliamo solo che si rispettino le norme, questo non è un problema con la Germania, è un problema con tutti», Per poi spiegare: «Noi chiediamo che tutte le navi che raccolgono persone in mare, giustamente perché questo prevede il diritto di navigazione, quando chiedono di attraccare in un porto italiano devono dirci chi c’è a bordo, quanti sono, da dove vengono, ci serve una relazione completa sulle persone, questo riguarda la sicurezza nazionale». Tutte operazioni che in realtà già da anni vengono svolte dalle forze dell’ordine una volta che i migranti si trovano a terra.

Intanto le condizioni di vita a bordo della Ocean Viking (234 migranti salvati), della Humanity One (179 tra i quali 100 bambini) e della Geo Barents (572) si fanno sempre più difficili. A peggiorare le cose ci si mettono anche le previsioni meteo che segnalano tempeste e onde alte fino a sei metri. «E’ disumano e contro il diritto internazionale lasciare i sopravvissuti bloccati in mare per oltre una settimana e prolungare le loro sofferenze», ha detto ieri Mirka Schafer, advocacy officer di Humanity One, mentre Sos Mediterranée, la ong a cui fa capo la Ocean Viking, ha annunciato di aver chiesto un porto sicuro a Grecia, Spagna e Francia. «Siamo di fronte a un’emergenza assoluta – ha avvertito il coordinatore della ricerca e soccorso della nave, Nicola Stalla – e ogni ulteriore giorno di attesa potrebbe avere conseguenze potenzialmente letali».