Quanto ci piaceva metterci vicini vicini in quell’ultimo angolo della redazione. In fondo al corridoio, alla luce sghemba di una piccola finestra sulla cupola di San Carlo al Corso, dove i rumori si fermavano e il tempo rallentava. A cianciare e ciarlare e un po’ a spettegolare.

Difficile per chiunque uscire indenne da quel divertito pigolio; erano pochissimi a salvarsi da sarcasmi e battutacce.

Amavamo quel rifugio e amavamo ritrovarci a chiacchierare lontani da tutte quelle cose serie che si discutevano fino allo stremo, lontani dall’infinita discussione politica, dall’inquietudine sui destini del mondo.

Mi piace ricordarti così, Angela: allegra e spensierata, ironica e beffarda. Sotto quella frangetta che ti accarezzava il respiro.

Avresti avuto poi tutto il tempo per diventare la rigorosa notista di politica internazionale, l’analista curiosa e intelligente.

Forse è inevitabile che ad affiorare siano i ricordi più giovanili, di noi ragazzi avidi e smaniosi, con quella fremente tensione addosso, pronti a scavalcare dubbi e contraddizioni e prendere a morsi la vita. E un po’ è quello che poi abbiamo fatto e che di sicuro avresti voluto continuare a fare, Angela cara.

Eri una ragazza: e lo sei ancora. Nei miei pensieri affettuosi, nelle immagini che mi porto dentro, perfino nel suono delle tue risate, che sento riecheggiare anche adesso, tra le stentate parole che sto cercando di mettere insieme, con questa spinosa pena che mi penetra e affligge.

Quell’angoletto al quinto piano di Via Tomacelli non c’è più e chissà cos’è diventato ora, chissà se ancora qualcuno ci s’incontra, ci si rifugia…

Ma intorno a quella cupola che noi guardavamo come fosse il nostro orizzonte le rondini continuano a volare e cianciare e ciarlare felici.

Proprio come noi tanti anni fa.