Metti a cena commercianti e samurai
Giappone Nella cucina giapponese si specchia una profonda differenza culturale che segna il paese: quella tra l’Est e l’Ovest. Questa diversità è cristallizzata nella cultura popolare dalla battaglia di Sekigahara combattuta […]
Giappone Nella cucina giapponese si specchia una profonda differenza culturale che segna il paese: quella tra l’Est e l’Ovest. Questa diversità è cristallizzata nella cultura popolare dalla battaglia di Sekigahara combattuta […]
Nella cucina giapponese si specchia una profonda differenza culturale che segna il paese: quella tra l’Est e l’Ovest. Questa diversità è cristallizzata nella cultura popolare dalla battaglia di Sekigahara combattuta nella provincia di Gifu nel 1600 tra le forze dell’Ovest dei Toyotomi e quelle dell’Est dei Tokugawa, i vincitori.
La battaglia segnò la fine del dominio politico del Kansai, la regione di Osaka e Kyoto, e l’ascesa egemonica del Kanto, la regione attorno a Tokyo. Sono pochi gli interlocutori che non vi facciano riferimento quando si parla di differenze regionali nel Sol Levante. Due aree del paese i cui gusti culinari erano, e restano anche oggi, molto diversi, con Osaka tradizionalmente considerata la «cucina del Giappone» per varietà e qualità del cibo. Gli abitanti di Osaka sono così legati alla tavola che esiste un modo di dire per descrivere il loro atteggiamento: il kuidaore, «mangiare fino alla bancarotta».
L’antagonismo dei gusti, però, è riassunto dallo scrittore Bakin, originario di Tokyo, nei suoi diari di viaggio del 1820 dove appunta: «Ci sono tre cose buone a Osaka: i mercanti, il pesce e le tombe. Ci sono tre cose disgustose: il saké, l’anguilla e la cucina».
Proprio l’anguilla illustra la differenza tra la cultura mercantile di Osaka e quella samurai di Tokyo. Il modo in cui si taglia l’anguilla è infatti diverso: a Osaka il taglio è praticato sul ventre, mentre a Tokyo sul dorso. Questo perché il taglio sul ventre ricorderebbe l’harakiri, il suicido rituale dei samurai. Non solo, anche la forma degli onigiri, le tipiche polpette di riso, cambia. Vengono arrotolati a Osaka e sono a forma triangolare a Tokyo; la spiegazione più in voga è che triangolare sia più pratico da trasportare e quindi più adatto ad un guerriero.
Un altro caso esemplare della differenza di gusti è il natto, i fagioli di soia fermentati che hanno un aspetto colloso e un odore intenso. Un tipico supermercato di Tokyo ha interi scaffali dedicati a questo prodotto che i Tokyoti apprezzano molto. Viceversa a Osaka questi sono meno popolari e la scelta al supermercato è di solito molto ristretta.
Se chiedete se piaccia o meno a un vecchio nato e cresciuto qui, potrebbe guardarvi con lo stesso disgusto che potrebbe cogliere un visitatore europeo.
Dietro queste differenze vi sono ragioni secolari che affondano nelle rotte mercantili interne al Giappone. Osaka per molti secoli è stata la capitale commerciale del paese, attorno al quale tutti i traffici passavano, in particolare quelli di alghe e riso, e da cui poi si irradiavano al resto del paese. Gli storici hanno ricostruito le rotte tradizionali di diffusione del kombu, alghe che crescono nelle acque fredde del nord del Giappone e che sono abbondantemente usate nella cucina giapponese.
Le alghe essiccate venivano trasportate prima a Osaka e da lì a Edo, la Tokyo premoderna. Il viaggio veniva chiamato kudari – verso il basso – anche in quanto i prodotti per la capitale erano di minore qualità. Questa superiorità era dovuta alla tecnologia alimentare di Kyoto, sede imperiale fino alla restaurazione Meiji del 1868, dove avveniva la lavorazione di molti alimenti e che ancora oggi conserva un’aurea di particolare raffinatezza e qualità dei prodotti.
Accanto ad alghe e riso il terzo onnipresente ingrediente sulle tavole nipponiche è il brodo di miso, rosso nel Kanto e bianco nel Kansai. Per alcuni storici del cibo questa differenza deriverebbe dalle due diverse rotte di introduzione del miso in Giappone. Entrambi sarebbero arrivati dal continente, ma in un caso dalla Cina, mentre l’altro tramite la Corea.
Dal 2013 il Washoku, la cucina tradizionale giapponese, è patrimonio dell’Unesco. La definizione non cita piatti specifici né differenze regionali, ma offre una definizione soprattutto sociale della cucina come esemplificata nelle celebrazioni d’inizio anno. I pasti sono serviti in box di lacca conservati da ciascuna famiglia e trasmessi di generazione in generazione. Le quantità sono luculliane, soprattutto perché la credenza vuole che così si porti l’abbondanza nel nuovo anno. Anche qui gli abitanti del Kanto e del Kansai servono piatti diversi.
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