Il percorso appare lungo e accidentato, ma ben tre sentenze dettate in pochi giorni dalla Corte Suprema federale del Messico potrebbero condurre alla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza.
La prima, emessa all’unanimità il 7 settembre, pur non intervenendo sulla liceità dell’aborto ma riconoscendo il diritto di scelta delle donne, dichiara incostituzionale l’art. 196 del Codice Penale dello stato del Coahuila che prevede la reclusione fino a 3 anni per le gestanti che abortiscono e coloro che le assiste.

IL MOVIMENTO femminista ha festeggiato in piazza in diverse città anche un’altra sentenza che giudica anticostituzionale l’articolo dello statuto del Sinaloa secondo cui la vita inizierebbe al momento del concepimento. I giudici hanno fatto propria l’interpretazione della Corte Interamericana dei Diritti Umani, secondo cui «la vita ha un carattere progressivo». Le istituzioni devono difendere i diritti del feto, ma «con il pretesto di proteggere la vita umana la legge impugnata impone dei limiti all’esercizio dei diritti umani di altre persone» ha spiegato il giudice Luis María Aguilar.

Si tratta di sentenze di carattere storico: in America Latina solo Cuba, Uruguay, Guiana e Argentina prevedono l’aborto legale, e solo 4 dei 32 stati che formano il Messico hanno eliminato il reato di aborto. A livello federale, l’Ivg è legale solo se la gravidanza è il risultato di uno stupro, e solo in alcuni casi se la gestante rischia la vita o se il feto presenta malformazioni gravi. Le donne che possono abortiscono a Città del Messico o all’estero, ma ogni anno nel paese si contano un milione di aborti clandestini – un terzo dei quali provocano complicazioni mediche – e numerosi decessi.

I PRONUNCIAMENTI della Corte Suprema, pur avendo valore in tutto il paese, non comportano un’automatica modifica delle leggi vigenti nei diversi stati. I movimenti delle donne si preparano quindi ad una lunga battaglia legale e politica affinché le assemblee legislative correggano la norma sconfessata, e per ottenere dai tribunali la revisione dei processi intentati contro donne spesso denunciate da medici e infermieri obiettori ai quali si erano rivolte, magari dopo un aborto spontaneo. Secondo l’organizzazione femminista GIRE, dal 2007 al 2016 in Messico si sono contate 4000 denunce e al momento circa 200 donne, spesso molto giovani, stanno scontando pene detentive. Il presidente della Corte Suprema, Arturo Zaldívar, ha annunciato che il Difensore Civico Federale metterà degli avvocati a disposizione di 432 donne denunciate o processate nel 2021 mentre il governo del Coahuila ha ordinato la liberazione delle imputate in carcerazione preventiva.

A completare il quadro, il 20 settembre, una terza sentenza della Corte Suprema, che dopo un lungo dibattito ha invitato il parlamento a rivedere parte della Legge sulla salute del 2018 che autorizzava un’obiezione di coscienza del personale sanitario di fatto senza vincoli per motivi religiosi o morali, al fine di introdurre dei limiti chiari all’esercizio di una facoltà giudicata costituzionale a patto che non prevalga sul diritto alla salute e sui diritti sessuali delle donne e delle minoranze, riconoscendo di fatto l’esistenza di una discriminazione di genere ma anche etnica.

LA REAZIONE della Chiesa e delle destre è stata viscerale, in un paese in cui, stando ai sondaggi, la maggioranza della popolazione resta contraria alla legalizzazione dell’aborto. Il presidente López Obrador non si è mai speso sul tema per non scontentare i settori conservatori del suo elettorato, pur invitando a rispettare le sentenze. Le gerarchie cattoliche guidano il fronte proibizionista: «Noi, convinti del valore assoluto della vita, non abbiamo bisogno di una legge omicida come quella che stanno approvando» recita un tweet della Conferenza Episcopale che per il 3 ottobre ha indetto “marce per la vita” in tutto il paese.